(questo testo è da rivedere 05/04/2020)
contiene qualche linea di inrtoduzione mia, 5 pagine di intervista di Edoardo Sanguineti, che veniva considerato il maggiore poeta italianao del sec XX e poi qualche illustrazione mia sul problema dell´"insegnamento"
contiene qualche linea di inrtoduzione mia, 5 pagine di intervista di Edoardo Sanguineti, che veniva considerato il maggiore poeta italianao del sec XX e poi qualche illustrazione mia sul problema dell´"insegnamento"
1
Il tema è: insegnare letteratura?
La risposta, già nel titolo, è: no: non si può INSEGNARE, ma si dovrebbe ORIENTARE (gli studenti).
Per rispondere, ho cercato vari testi, che mi aiutassero. Ed ho trovato questo saggio, diu Edoardo Sanguineti, un famoso saggista, poeta e scrittore italiano, da poco deceduto. In rosso, ho sottolineato alcuni concetti, su cui meterò delle osservazioni (Note)
insegnare letteratura prescindendo dal manuale di storia
letteraria e l’antologia?1 ( In Rosa Calò, Silvana Ferreri (a cura di), Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed educazione linguistica,
Quaderni del Giscel , La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 33-40.
Il testo è stato dedotto, con la maggiore fedeltà possibile, dalla registrazione della relazione presentata al
convegno Il testo fa scuola., con il consenso dell’autore)
https://giscel.it/wp-content/uploads/2018/10/Sanguineti-Ci-sono-altri-modi-per-insegnare-letteratura-che-non-siano-il-manuale-di-storia-letteraria-e-l%E2%80%99antologia.pdf
2.
Quello che Sanguineti afferma:
a) critica all´insegnamemto tramite i manuali e le storie delle letteratura
b) In Italia funzionano scuole elementari e Università, ma non tanto la scuola media
c) esiste la trappola di "parla con franchezza", ma poi si sa che il Prof. vuole una certa opinione.... (in Brasile succede molto pnell´Enem, rispetto alle domande che vengono poste. _
2.
Quello che Sanguineti afferma:
a) critica all´insegnamemto tramite i manuali e le storie delle letteratura
b) In Italia funzionano scuole elementari e Università, ma non tanto la scuola media
c) esiste la trappola di "parla con franchezza", ma poi si sa che il Prof. vuole una certa opinione.... (in Brasile succede molto pnell´Enem, rispetto alle domande che vengono poste. _
Ci
sono altri modi per insegnare letteratura che non siano il manuale di storia
letteraria e l’antologia?1
Edoardo
Sanguineti
Il titolo, che non è mio, ma che
volentieri ho accolto senza correzione alcuna, contiene una interrogazione alla
quale devo dare risposta. Tenterò dunque di rispondere a questa domanda, che è
duplice. E cercherò di affrontarle, per quel tanto che è lecito, separatamente,
benché, come è ovvio, siano due questioni strettamente connesse e tali siano
anche molto spesso oggettualmente, in quei famosi tomi di vario peso, in cui il
manuale comprende l’antologia, ovvero l’antologia funge anche da manuale.
Per essere breve darò subito la mia
risposta. Sì, ci sono certamente altri modi di insegnare letteratura che
non sono il manuale di storia letteraria e non sono l’antologia, ma non mi pronuncerei in maniera tanto semplificata, né a
favore né contro l’ipotesi manuale, l’ipotesi antologia. Credo che sia più
opportuno discutere sopra la struttura di queste modalità comunicative e, soprattutto,
sul modo di farle funzionare; anche qui due questioni che cercherò un poco di
mantenere separate benché naturalmente data una certa struttura, questa
funzionerà fatalmente in una certa maniera e, dato un certo funzionamento, un
certo modo di praticare una comunicazione, una informazione, si farà appello a
certe costruzioni comunicative adeguate.
Prima di addentrarmi in argomento,
farò una premessa che non è gratuita, anche se lievemente fuori tema. Vorrei
comunicare una mia vecchia convinzione: in Italia, nel
complesso, funzionano le scuole elementari e l’università. Va presa con molta cautela sia l’una sia l’altra affermazione,
ma per intenderci, molto schematicamente, diremo pure così. Ho invece l’impressione che
funzionino molto meno bene quel complesso di istituzioni che passa sotto l’etichetta
di scuola media, vuoi inferiore vuoi superiore, perché, sempre molto
genericamente discorrendo, la scuola elementare insegna, come dice bene
Pinocchio, a leggere, scrivere e fare di conto. Non si uscirà sempre ben
leggendo, ben scrivendo, né i conti saranno sempre esatti, ma in genere nel
volgere di soli cinque fatidici anni il giovinetto studioso acquista queste
abilità, magari un po’ rozze, pronte poi agli analfabetismi di ritorno più o
meno imminenti, ma insomma... E l’università, con tutto quello che si può dire
e merita di essere detto sul suo funzionamento, in ambiti differenziati e più o
meno specificatamente specializzati, produce, bene o male, quegli intellettuali
in senso lato, che socialmente vengono richiesti, e quasi li fabbrica.
cose; insomma, per dirla paradossalmente, non sono tanto luoghi
dove si studia, ma luoghi dove si fa. Nella scuola elementare il fanciullo, per
esempio, produce testi progressivamente, si spera per lui, sempre più
articolati, quindi sul piano linguistico produce tante cose: comincia a
ordinare vocaboli nella scrittura,e dopo proposizioncine, frasi, poi frasoni,
riesce a organizzare pensieri, elabora riflessioni, raccoglie ricordi, elabora
frammenti di diario, diari anche complessi, in molti casi scrive una lettera,
infine, svolge persino dei temi che hanno un carattere creativo – così si usa dire – parola che io
comprendo non senza molta difficoltà. Insomma, costoro fanno; fanno e spesso
esibiscono; fanno, e possono esibire i risultati del fare: danno luogo persino
a piccole esposizioni di disegni, raccolte di prime impressioni, giornalini,
ecc.
L’università dovrebbe fare secondo me
molto più di quello che fa, ma infine, tra esercitazioni, seminari, laboratori,
ricerche, tesine fino alla famosa tesi di laurea, è pure in vista di un fare
che si lavora.
Che cosa si fa invece nella scuola
media? Io ho l’impressione – non dirò che non si faccia niente, non vorrei offendere
nessuno, credo che nessuno abbia il diritto di dirlo – non dirò che non
si faccia niente, ma quanto all’appello al fare, questo, sia dal punto di vista
della lingua che della conoscenza letteraria, mi pare che il fare sia molto
scarso.
Non occorre chiedere da parte mia, né
a De Mauro né a Simone, solidarietà intorno al dramma del tema, di letteratura
e anche non di letteratura, ma certo, se è una richiesta produttiva, è la meno
produttiva delle richieste. Si enunciano in argomento nozioni, concetti, e
anche semplicemente passioni, nella forte aspettativa che poi vengano
restituiti, più o meno elaborati, ma fondamentalmente intatti o pressoché
intatti; la famosa richiesta: «Dimmi con franchezza quello che pensi».
Cautamente e saggiamente l’alunno si guarda
bene dal cadere nell’orribile trappola del dire con franchezza: verrebbe
pesantemente punito per questo eccesso di candore e fiducia nei rapporti
intersoggettivi; «Esprimi liberamente»: se lo sventurato risponde, si sa come
va a finire. Ogni tanto, all’epoca degli esami di maturità qualche giornalista,
da qualche parte, mi chiede: «Ha qualche consiglio da dare?» «Sì, cercate di
indovinare che cosa vuole colui che leggerà questo tema»; e siccome è difficile
indovinare cosa vuole, salvo avere informazioni acquisite con un ampio tam-tam
sui commissari, bisogna essere equidistanti da tutti i confini di una rischiosa
assunzione di responsabilità, senza sbilanciamento in alcuna direzione.
Questa premessa spiega ora quello che
brevemente voglio dirvi, incominciando dal manuale.
Per prima cosa vorrei riagganciarmi
al discorso di De Mauro; perché il senso fondamentale del discorso di De Mauro
è: siamo un popolo di non leggenti, dobbiamo diventare un popolo di leggitori.
Questo appello, è un appello inaudito
nella tradizione scolastica italiana, perché la grande, tenace e vittoriosa
raccomandazione della scuola italiana è: siamo qui per studiare mica per
leggere. E che cosa fa l’ingenuo fanciullo. Sorpreso da solo a leggere?: «Che
fai?», «Sto leggendo». «Leggi? Smetti subito di leggeree corri a studiare!»; perché
sono due cose radicalmente eterogenee e incompatibili, pare, e l’una nuoce
sommamente all’altra.
Colgo l’occasione per osservare che
esattamente questo meccanismo, in un’adunanza simile a questa, l’ho rilevato,
ormai, per la televisione: «Che fai?», «Guardo un po’ di televisione», «Guardi
un po’ di televisione?». Io penso al giorno in cui, in un’adunanza siffatta, si
dibatterà la questione: «Ahimè, i nostri giovani non guardano la televisione,
siamo un popolo di non televedenti». Che dovrà fare la scuola perché i giovani
tornino a guardare la televisione otto, dieci ore al giorno? E, secondo me,
proprio questa è la strada verso cui ci incamminiamo.
Allora tenuto conto di ciò, il
problema è davvero come leggere, e soprattutto tocca la fascia della scuola
media, dove si studia, ahimè. Cerchiamo invece di far sì
che lo studente legga, trasformiamo anzi lo studente in
leggente. Questo mi pare un buon programma. E si pone il problema: chi
insegnerà agli insegnanti l’arte del trasformare lo studente in leggente, dato
che gli insegnanti paiono invece eletti a rendere studenti gli studenti?
Evocando tempi più o meno passionali o rivoltosi,
ricordo le polemiche, di origine cinese, sul libro e il culto del libro.
Storicamente parlando, un encomio alla memoria per il testo scolastico credo
che trovi sempre rinnovato consenso, purché sia un encomio come si fa ai defunti.
Credo che il problema sia veramente uscire dal feticismo di quel testo
scolastico che praticamente, come ha detto De Mauro, diventa la voce della
verità, il punto indiscusso di riferimento; credo che sarebbe importante
passare alla cultura del libero esame del testo.
Stamattina, incrociandomi, De Mauro mi ha chiesto:
«Sei ancora dell’idea che il migliore libro di testo sia il Bignami?» «Più che
mai!», non foss’altro perché il Bignami, assolutamente esempio unico, credo, a
livello planetario, non ha soltanto quella tascabilità che risolverebbe il
carico da zaino, ma quella discrezione assoluta per cui non pretende
assolutamente di rivelare mondi, suscitare passioni. Io credo che il manuale
funziona se assunto come sobria guida turistica, né più né meno, o come un
elenco telefonico. Memorizzare i numeri telefonici può servire, ma una volta
che so i pompieri, il pronto soccorso, la ragazza, gli amici, la famiglia ...
il resto non lo memorizzo; però so che esiste una cosa così e, quando mi serve,
ci ricorro. Allora, grosso modo, è come quando vado a Palermo; conosco poco la
città, mi armo di una guida che mi permetta, alla bisogna, di consultarla
utilmente. Ha una funzione orientativa, è una specie di quelle “i” minuscole
che ormai si incontrano, per “informazioni”, dappertutto: ho bisogno di
informazioni, e ormai tutti sanno che c’è una ”i” – di solito in un bel cerchietto
azzurro – vado lì e so.
Il Bignami ideale, che è da fare, funziona bene
come riferimento. Come sarebbe assurdo pensare che si viaggia per imparare una
guida o che lo studiare la guida sia il modo per conoscere il mondo, se voglio
comunicare con le persone, non mi metto a leggere e memorizzare l’elenco
telefonico, se voglio conoscere la letteratura, non mi leggo un manuale di
storia della letteratura ma leggo i testi, non il testo, non il testo
scolastico ma i testi in un libero esame giustappunto, per quanto è possibile.
E anche qui citerò De Mauro quando fa l’elogio dei
grafici, dei processi di iconizzazione; sono utili esattamente come nella guida
turistica certi riferimenti: mi oriento subito, trovo il duomo, ecco lì il
ponte che attraversa quel fiume, guarda come scorre il fiume, ecco i principali
alberghi, la stazione ferroviaria, ecc., ecc. Viaggiando, consulto la guida;
però hanno pure ragione i giapponesi quando si mettono lì a fotografare,
perché, bene o male già vedono, sia pure attraverso la macchina fotografica,
poi tornano a casa e rivedono – di
solito l’effetto della seconda operazione sulla prima produce per noi qualche
utile stupore – e si
guarda veramente quando, arrivati a casa, finalmente si osservano bene le
cartoline, con gli amici a cui ho provveduto a spedirle. Ma la situazione reale
vissuta, è quella per cui non si guarda niente, e davanti al monumento si legge
quello che dice la guida. A scuola, almeno, accade questo.
Chi legge l’Orlando
furioso, ma che dico, chi legge più i Promessi
sposi? Dei Promessi sposi esistono splendidi riassunti
espositivi, dove si spiega tutto quello che c’è da dire agli orali su Renzo, sulla figura di Lucia,
sulla Provvidenza. Ma chi legge Dante Alighieri, e perché mai dovrebbe leggere,
quando deve sapere quando visse quel pontefice e cosa succede un girone più
sotto di quell’altro, quali sono i personaggi fondamentali del XIII canto?
Questo, non è leggendo Dante che possa impararlo, ma leggendo i commenti, i
cappelli introduttivi, i manuali e quant’altro passa la scuola. Ecco, io mi
pronuncerei dunque contro il manuale quale struttura sostitutiva dell’esperienza dei testi, e quindi tale da distruggere
puramente e semplicemente la letteratura italiana, fungendo da vero suo Ersatz globale.
Piccola parentesi sulla storia della letteratura.
Come sapete, il modello desantisiano è andato in crisi, e ha aperto un grande
dramma: storia o letteratura? semplificando
molto le cose. Ricordo qui il pronunciamento di Asor Rosa: letteratura e non
storia. Ci sono due opzioni
fondamentali: o mi rivolgo alla letterarietà, e
questo appartiene a un ordine di psicologia platonica. per cui chi crede alla
cavallinità è portato anche a credere che esista la letterarietà, oppure
secondo me ci si orienta verso la storia.
Se ci si orienta verso la storia, il problema
presenta analogie molto forti con altre discipline. Mi permetto di insinuare l’idea
che come posso usare bignameschi manuali di storia letteraria, qualcosa di
simile sarebbe auspicabile per le storie della storia e le storie dell’arte e – se soltanto ci fossero – le storie delle scienze e le
storie della filosofia. Ammiravo enormemente il Guzzo, il manuale non l’uomo,
che era fatto, cosa a quei tempi rara, a partire dalle opere dei filosofi, a
dispetto delle molte più apprezzate storie di Abbagnano, in cui per solito i
filosofi erano signori i quali avevano una logica, poi avevano una fisica, poi,
quando l’avevano, avevano anche magari una
estetica, poi avevano una morale. Che
scrivessero libri, come per lo più accade, era un fatto secondario. Il Guzzo
era convinto giustamente che fosse bene partire dai libri dei filosofi. Allora
si espone ciò che i vari libri dicono, non la morale del tizio, ma quel tale
suo libro determinato. Qualcosa di simile, se i manuali stessi di storia
esibissero documenti, e si spiegasse come si fa la storia e si incitasse in
qualche modo a fare questo. Allora, ecco a cosa volevo arrivare.
Oserei dire che, partendo da una
guida, sarebbe bello che gli studenti, nel corso della scuola media, scrivessero
un loro manuale, leggendo dei testi e, in collaborazione scolastica, facendo
proposte, mica necessariamente dalle origini ai giorni nostri, ma per
intrecciarle a ricerche monografiche, oggi una cosa, domani un’altra; un po’
come si fa all’università dove si dà per scontato, quando si è saggi, il
manuale istituzionale. Questo dovrebbe già saperlo, visto che gli hanno dato la
maturità, e allora facciamo finta che lo sappiano; invece devo ammettere che
anche all’università chi biennalizza si trova in questa straordinaria
condizione, che al primo anno porta, poniamo, la letteratura dal Due al
Seicento e al secondo anno dal Settecento ai giorni nostri. Capisco ancora il
primo anno, ma perché mai sia lecito al secondo, dopo avere dimenticato tutto
quello che va dal Due al Seicento, invece sapere tutto quello che va dal
Settecento ai giorni nostri, questo mi è misterioso. Io devo dire che sono fra
quei pochi, per cui di letteratura all’esame non chiedo più nulla, salvo che
entri strettamente nel discorso, che sia pertinente alla questione testualmente
affrontata, ma se la cosa è pertinente, lo è nel Trecento, lo è nel
Cinquecento, lo è nel Novecento. E agli studenti che dicono: ma come dobbiamo
prepararci? io dico tranquillamente: preparatevi bene perché se poi non sapete
dov’è Locarno ... io lo so che è cosa non attinente alla letteratura italiana,
ma non vi promuovo lo stesso.
Allora è bene leggere i testi. Questo
è il punto primario. E questo non tanto perché è passaggio, che pure è, da non
leggenti a leggenti, ma perché questo è quello che si fa, se si vuol fare un po’di
letteratura: avere a che fare con la letteratura. Si leggono i testi; si
leggono e non si studiano, perché, oserei persino dire, perché lo studio, come
sa chiunque ricordi testi che abbiano contato per lui in qualche modo, nasce
dal leggerli davvero, così come non si imparano a memoria le poesie quando,
passeggiando avanti e indietro, si cerca di rimescolare in bocca Il 5 maggio
per la decimillesima volta finché nella zucca si imprimano una via l’altra le
parole, ma per la pura passione della lettura, per cui quel testo entra in
mente come le canzonette. Ma chi diavolo si mette lì a studiare Volare? «Volare oh, oh, cantare oh, oh,
oh». Ma nessuno lo fa, anzi lo faceva, via; sì, la si ascolta, riascolta, si
comincia a canticchiarla e così, così va il mondo, insomma quando si esce
fuori, perlomeno, dalle grigie aule scolastiche e si frequentano i testi.
Avrò modo un’altra volta di dire
qualcosa sopra la fabbricazione collettiva dei commenti in aula e sarebbe cosa
anche questa molto utile. Per questo prenderei, in partenza, testi sobriamente
annotati; ci sono tante edizioni tascabili, ormai a moderato prezzo. Questo
certo presuppone lo sviluppo fortissimo della biblioteca scolastica, d’aula, di
corso, di istituto ma, per i compiti, son già tante le biblioteche dove oggi
numerosi vanno gli studenti delle scuole medie, per lo più a fare ricerca, cioè
a fare quel tal lavoro che da adulti faranno magari producendo manuali, ma che adesso svolgono
invece confezionando collage, che è una grande arte. È bene insegnare l’arte
del collage – il povero Benjamin sognava un’opera di sole citazioni che
dicano già tutto – fateli fare questi collage, ma libere et aperte, non clandestinamente cercando di fabbricare un
prodotto pseudocreativo.
Vi risparmio tutto quello che avrei
da dirvi sopra la necessità di fare irrompere gloriosamente la storia della
lingua nella storia della letteratura perché si esce, oggi, dall’esperienza
scolastica della letteratura italiana ignorando fondamentalmente il fatto che
esiste una storia della lingua, o è cosa tutta marginale, incidentale, e avventurosa.
Ed ecco vengo all’ultimo punto che è l’antologia.
Tutto quello che ho detto, indica già
automaticamente come mi schiero contro l’idea dell’antologia, per cui alcuni
signori hanno provveduto, magari anche meditatamente, a selezionare testi
significativi. Ma, pensate che bello sarebbe se invece un gruppo scolastico,
una classe, si proponesse: quest’anno ci facciamo un’antologia di questi due
secoli, della poesia cavalleresca italiana, e della poesia religiosa dell’Ottocento.
Chi più ne ha, più ne metta; basta mettersi d’accordo, si possono fare i
gruppi, si collabora si lavora. All’antologia
– insomma –
si arriva; non si parte dall’antologia, si parte dall’esperienza
di testi, larga, abbondante, testi integrali: si legge tutto. Il Principe, tutti i Discorsi – perché no – anziché avere solerti mediatori che traducono il Decameron in italiano corrente, perché è
quasi un privilegio della nostra lingua, in Europa, che noi possiamo ancora
leggere i testi del Duecento senza veramente dover apprendere un altro sistema
linguistico. Bene, l’antologia si fa.
Arrivati a questo punto, quando tocco
questo tema, ricordo sempre, quanto scriveva il Foscolo parlando di sé, sotto il nome
di Didimo Chierico, nella Notizia intorno
a Didimo Chierico, il quale
personaggio non leggeva da cima a fondo se non la Bibbia e questo si spiega molto bene, data la cultura d’epoca;
e poi non è una così brutta raccomandazione in un paese dove non la legge
nessuno (se non specialisti o insonni che in albergo non dormono: ormai è usuale
anche m un grande paese cattolico – cosa delicatissima – proporre in
alternativa alle porno-proiezioni notturne la lettura del Deteuronomio).
E degli altri libri che faceva Didimo
Chierico? Strappava le pagine che giudicava importanti e si era fatto un libro
suo. Se tutti gli studenti uscissero dall’esperienza della scuola media avendo
un loro libro, come genialmente il Bollati, quando lavorava ancora per Einaudi
suggerì a Primo Levi chiedendogli una sua antologia personale; se questa uno se
la facesse, se la commentasse, se la ragionasse e venisse a delineare in
qualche modo una storia della letteratura per sé, mi parrebbe un risultato
eccellente. Anche perché renderebbe trasparente una cosa che di fatto esiste:
siamo tutti antologie viventi, molto disorganizzate, con infinite altre cose
rimescolate, fotografie, quadri, frammenti di musiche, per lo più cose, in
grandissima parte, abiette e vergognose. Stenteremo tutti ad ammettere che
nella memoria ci è rimasta impressa quella tale illustrazione di libro, che
giudichiamo per altro orrenda, quella sequenza di film che vergognosamente
abbiamo visto, quella romanzaccia che ci ha commosso e che però è legata
eternamente al primo amore; siamo così, oggetti compositi, come diceva Gramsci,
eterogenei, confusi; depositi stratificati da cento culture, un po’ come è nato
il Testaccio a Roma, come accumulo di rifiuti, di cose del mondo che ci sono
piovute addosso e che noi abbiamo cercato di organizzare risistemando. Fatta
liberamente e apertamente, con libero esame critico, con discussione in aula,
dove non ci sarebbe più da insegnare niente, né da studiare nulla, salvo
discutere, confrontare opinioni, e organizzare questa sorta di antologia ideale
che ognuno avrà contribuito a creare, questa è l’unica cosa sensata che io mi
sento di proporre, per insegnare e imparare letteratura,
La visione di Sanguineti è fondamentalmente corretta:
1. Insegnare letteratura ? Sì ma (in principio) senza manuale e storia letteraria
2. La lettura letteraria deve basarsi sulla letteraretà (il carattere letterario, l´accento su quell´aspetto specifico che la letteratura ha? ) . La sua risposta è negativa
In questo caso, NON sono d´accordo. Perché il carattere letterario include anche altri aspetti (come quello storico, autobiografico, ecc.). Un testo non potrà MAI eessere visto dal punto di vista in cui lo vedeva il lettore dell´epoca (per es. il lettore di Dante all´epoca di Dante). Noi siamo sempre lettori ANACRONISTICI, leggiamo sempre DOPO ...
3. Somo d´accordo con Sanguineti, quando cice che si parte dall´ESPERIENZA
In questo caso, NON sono d´accordo. Perché il carattere letterario include anche altri aspetti (come quello storico, autobiografico, ecc.). Un testo non potrà MAI eessere visto dal punto di vista in cui lo vedeva il lettore dell´epoca (per es. il lettore di Dante all´epoca di Dante). Noi siamo sempre lettori ANACRONISTICI, leggiamo sempre DOPO ...
3. Somo d´accordo con Sanguineti, quando cice che si parte dall´ESPERIENZA
"non si parte dall’antologia, si parte dall’esperienza di testi, larga, abbondante, testi integrali: si legge tutto. "
Devo trattare un tema alla volta. Penso al compito di INSEGNARE (insegnare la letteratura, insegnare in generale, insegnare nell´epoca del Coronavirus, insegnare dopo la terza rivoluzione nell´apprendimento che, secondo Marshall Mac Luhan segue 1. l´invenzione della scrittura (circa 5000 anni prima di C.) 2. l´introduzione della stampa (nel sec XV da Gutenrberg) e negli anni ´90 del sex XX con l´internet.
un esempio di prima scrittura e uno dei primi computer, della fine del secolo scorso
La prima verità è che NON si puó piú insegnare in maniera tradizionale (né lo si poteva prima, ma non era tanto evidente).
Quanti sono i libri e le informazioni (per restringerle all´ambito del nostro tema) sulla questione letteraria? Saranno probabilmente milioni . La risposta è presto trovata su ... google: (According to Google's advanced algorithms, the answer is nearly 130 million books, or 129,864,880 ) Naturalmente, questi 130 milioni di libri non saranno tutti di nostro interesse! Non saranno tutti di letteratura. Ma é evidente che possiamo accedere a una biblioteca MOLTO maggiore di altre generazioni.
la macchina a stampa di Gutenber e le prime pergamene ritrovate
La parola INSEGNANTE viene da segno/ segnare/ indicare. Tutti abbiamo visto che l´insegnante del secolo scorso, INDICAVA i contenuti, per es. sulla cartina geografica. Il suo compito era quello di "passare" un contenuto "spiegarlo", indicarme gli aspetti piú importanti. Per alcune determinate materie e per alcuni aspetti limitati, questo puó essere ancora valido. Ma il problema è che l´accesso all´informazione è diffuso. Tutti possono accedere alle opere fondamentali.
Il problema si restringe ad alcuni aspetti:
1. a cosa può essere utile un "docente"?
(docente viene da "docere" in latino e significa anche insegnare, "indicare"
2. Quali sono i temi che dovrebbe sviluppare?
3. Come accedere a contenuti interessanti per la letteratura
come avvicinare l´interesse alla letteratura
4. Fare una ricerca su contenuti digitali, senza perdersi?
5. Ci sono alcuni esercizi utili ?
Risposte (parziali)
1. un docente puó essere utile solo se è in grado di comprendere le potenzialitá del proprio gruppo di studenti: si tratta di una comprensione di carattere psicologico e tecnico. Occore partire dal fatto che l´inetersse per la letteratura non è grande, nel mondo attuale. Letteratura e visione umanistica sono legate a uno schema del passato.
Ma io NON sono d´accordo. È vero che la maggioranza delle persone non ha un interesse spiccato per libri impegnati, arte e musica in genere (che non sia solo intrattenimento). Ma è anche vero che le persone non si rendono conto che ramite inter pervengono dei MESSAGGI (nella maggior parte COMUNICATIVI), CHE devono ESSERE INTERPRETATI.
Um grande desafio ensinar literatura - orientar a leitura - na era digital. A facilidade no acesso a textos hoje disponibilizados em bibliotecas do mundo todo se contrapõe ao processo de leitura fragmentada que se vê na era digital. Como orientar a leitura no mundo atual, durante a pandemia? Vemos revisitados clássicos como Boccaccio e Camus dando abertura para introdução da literatura sobre a peste. A literatura tem o poder de nos transportar para novos universos ou para um tempo remoto. Podemos aprender com os clássicos ou nos reinvertarmos com os contemporâneos e vice versa.
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