domingo, 5 de abril de 2020

INSEGNARE letteratura. Oppure: Orientare la lettura 05/04/2020


(questo testo è da rivedere 05/04/2020) 
contiene qualche linea di inrtoduzione mia, 5 pagine di intervista di Edoardo Sanguineti, che veniva considerato il maggiore poeta italianao del sec XX e poi qualche illustrazione mia sul problema dell´"insegnamento"
Lutto nel mondo della cultura, è morto Edoardo Sanguineti | Sky TG24



Il tema è: insegnare letteratura? 
La risposta, già nel titolo, è: no: non si può INSEGNARE, ma si dovrebbe ORIENTARE (gli studenti). 


Per rispondere, ho cercato vari testi, che mi aiutassero. Ed ho trovato questo saggio, diu Edoardo Sanguineti, un famoso saggista, poeta e scrittore italiano, da poco deceduto.  In rosso, ho sottolineato alcuni concetti, su cui meterò delle osservazioni (Note) 

 insegnare letteratura prescindendo dal manuale di storia letteraria e lantologia?1 ( In Rosa Calò, Silvana Ferreri (a cura di), Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed educazione linguistica, Quaderni del Giscel , La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 33-40. Il testo è stato dedotto, con la maggiore fedeltà possibile, dalla registrazione della relazione presentata al convegno Il testo fa scuola., con il consenso dell’autore) 
https://giscel.it/wp-content/uploads/2018/10/Sanguineti-Ci-sono-altri-modi-per-insegnare-letteratura-che-non-siano-il-manuale-di-storia-letteraria-e-l%E2%80%99antologia.pdf

2.

Quello che Sanguineti afferma:
a) critica all´insegnamemto tramite i manuali e le storie delle letteratura

b) In Italia funzionano scuole elementari e Università, ma non tanto la scuola media

c) esiste la trappola di "parla con franchezza", ma poi si sa che il Prof. vuole una certa opinione.... (in Brasile succede molto pnell´Enem, rispetto alle domande che vengono poste. _


Ci sono altri modi per insegnare letteratura che non siano il manuale di storia letteraria e lantologia?1

Edoardo Sanguineti


Il titolo, che non è mio, ma che volentieri ho accolto senza correzione alcuna, contiene una interrogazione alla quale devo dare risposta. Tenterò dunque di rispondere a questa domanda, che è duplice. E cercherò di affrontarle, per quel tanto che è lecito, separatamente, benché, come è ovvio, siano due questioni strettamente connesse e tali siano anche molto spesso oggettualmente, in quei famosi tomi di vario peso, in cui il manuale comprende l’antologia, ovvero l’antologia funge anche da manuale.

Per essere breve darò subito la mia risposta. Sì, ci sono certamente altri modi di insegnare letteratura che non sono il manuale di storia letteraria e non sono l’antologia, ma non mi pronuncerei in maniera tanto semplificata, né a favore né contro l’ipotesi manuale, l’ipotesi antologia. Credo che sia più opportuno discutere sopra la struttura di queste modalità comunicative e, soprattutto, sul modo di farle funzionare; anche qui due questioni che cercherò un poco di mantenere separate benché naturalmente data una certa struttura, questa funzionerà fatalmente in una certa maniera e, dato un certo funzionamento, un certo modo di praticare una comunicazione, una informazione, si farà appello a certe costruzioni comunicative adeguate.

Prima di addentrarmi in argomento, farò una premessa che non è gratuita, anche se lievemente fuori tema. Vorrei comunicare una mia vecchia convinzione: in Italia, nel complesso, funzionano le scuole elementari e l’università. Va presa con molta cautela sia l’una sia l’altra affermazione, ma per intenderci, molto schematicamente, diremo pure così. Ho invece l’impressione che funzionino molto meno bene quel complesso di istituzioni che passa sotto l’etichetta di scuola media, vuoi inferiore vuoi superiore, perché, sempre molto genericamente discorrendo, la scuola elementare insegna, come dice bene Pinocchio, a leggere, scrivere e fare di conto. Non si uscirà sempre ben leggendo, ben scrivendo, né i conti saranno sempre esatti, ma in genere nel volgere di soli cinque fatidici anni il giovinetto studioso acquista queste abilità, magari un po’ rozze, pronte poi agli analfabetismi di ritorno più o meno imminenti, ma insomma... E l’università, con tutto quello che si può dire e merita di essere detto sul suo funzionamento, in ambiti differenziati e più o meno specificatamente specializzati, produce, bene o male, quegli intellettuali in senso lato, che socialmente vengono richiesti, e quasi li fabbrica.

Cosa c’è in comune allora che permette, almeno se la mia ipotesi è vera, a questi due livelli estremi della fabbrica del sapere di funzionare? Io credo che sia il loro carattere produttivo. In queste strutture di insegnamento colui che vi entra è chiamato a fare alcune



cose; insomma, per dirla paradossalmente, non sono tanto luoghi dove si studia, ma luoghi dove si fa. Nella scuola elementare il fanciullo, per esempio, produce testi progressivamente, si spera per lui, sempre più articolati, quindi sul piano linguistico produce tante cose: comincia a ordinare vocaboli nella scrittura,e dopo proposizioncine, frasi, poi frasoni, riesce a organizzare pensieri, elabora riflessioni, raccoglie ricordi, elabora frammenti di diario, diari anche complessi, in molti casi scrive una lettera, infine, svolge persino dei temi che hanno un carattere creativo così si usa dire parola che io comprendo non senza molta difficoltà. Insomma, costoro fanno; fanno e spesso esibiscono; fanno, e possono esibire i risultati del fare: danno luogo persino a piccole esposizioni di disegni, raccolte di prime impressioni, giornalini, ecc.

L’università dovrebbe fare secondo me molto più di quello che fa, ma infine, tra esercitazioni, seminari, laboratori, ricerche, tesine fino alla famosa tesi di laurea, è pure in vista di un fare che si lavora.

Che cosa si fa invece nella scuola media? Io ho l’impressione non dirò che non si faccia niente, non vorrei offendere nessuno, credo che nessuno abbia il diritto di dirlo non dirò che non si faccia niente, ma quanto all’appello al fare, questo, sia dal punto di vista della lingua che della conoscenza letteraria, mi pare che il fare sia molto scarso.

Non occorre chiedere da parte mia, né a De Mauro né a Simone, solidarietà intorno al dramma del tema, di letteratura e anche non di letteratura, ma certo, se è una richiesta produttiva, è la meno produttiva delle richieste. Si enunciano in argomento nozioni, concetti, e anche semplicemente passioni, nella forte aspettativa che poi vengano restituiti, più o meno elaborati, ma fondamentalmente intatti o pressoché intatti; la famosa richiesta: «Dimmi con franchezza quello che pensi». Cautamente e saggiamente lalunno si guarda bene dal cadere nell’orribile trappola del dire con franchezza: verrebbe pesantemente punito per questo eccesso di candore e fiducia nei rapporti intersoggettivi; «Esprimi liberamente»: se lo sventurato risponde, si sa come va a finire. Ogni tanto, all’epoca degli esami di maturità qualche giornalista, da qualche parte, mi chiede: «Ha qualche consiglio da dare?» «Sì, cercate di indovinare che cosa vuole colui che leggerà questo tema»; e siccome è difficile indovinare cosa vuole, salvo avere informazioni acquisite con un ampio tam-tam sui commissari, bisogna essere equidistanti da tutti i confini di una rischiosa assunzione di responsabilità, senza sbilanciamento in alcuna direzione.

Questa premessa spiega ora quello che brevemente voglio dirvi, incominciando dal manuale.

Per prima cosa vorrei riagganciarmi al discorso di De Mauro; perché il senso fondamentale del discorso di De Mauro è: siamo un popolo di non leggenti, dobbiamo diventare un popolo di leggitori.

Questo appello, è un appello inaudito nella tradizione scolastica italiana, perché la grande, tenace e vittoriosa raccomandazione della scuola italiana è: siamo qui per studiare mica per leggere. E che cosa fa l’ingenuo fanciullo. Sorpreso da solo a leggere?: «Che fai?», «Sto leggendo». «Leggi? Smetti subito di leggeree corri a studiare!»; perché sono due cose radicalmente eterogenee e incompatibili, pare, e l’una nuoce sommamente all’altra.

Colgo l’occasione per osservare che esattamente questo meccanismo, in un’adunanza simile a questa, l’ho rilevato, ormai, per la televisione: «Che fai?», «Guardo un po’ di televisione», «Guardi un po’ di televisione?». Io penso al giorno in cui, in un’adunanza siffatta, si dibatterà la questione: «Ahimè, i nostri giovani non guardano la televisione, siamo un popolo di non televedenti». Che dovrà fare la scuola perché i giovani tornino a guardare la televisione otto, dieci ore al giorno? E, secondo me, proprio questa è la strada verso cui ci incamminiamo.

Allora tenuto conto di ciò, il problema è davvero come leggere, e soprattutto tocca la fascia della scuola media, dove si studia, ahimè. Cerchiamo invece di far sì che lo studente legga, trasformiamo anzi lo studente in leggente. Questo mi pare un buon programma. E si pone il problema: chi insegnerà agli insegnanti l’arte del trasformare lo studente in leggente, dato che gli insegnanti paiono invece eletti a rendere studenti gli studenti?

Evocando tempi più o meno passionali o rivoltosi, ricordo le polemiche, di origine cinese, sul libro e il culto del libro. Storicamente parlando, un encomio alla memoria per il testo scolastico credo che trovi sempre rinnovato consenso, purché sia un encomio come si fa ai defunti. Credo che il problema sia veramente uscire dal feticismo di quel testo scolastico che praticamente, come ha detto De Mauro, diventa la voce della verità, il punto indiscusso di riferimento; credo che sarebbe importante passare alla cultura del libero esame del testo.

Stamattina, incrociandomi, De Mauro mi ha chiesto: «Sei ancora dell’idea che il migliore libro di testo sia il Bignami?» «Più che mai!», non foss’altro perché il Bignami, assolutamente esempio unico, credo, a livello planetario, non ha soltanto quella tascabilità che risolverebbe il carico da zaino, ma quella discrezione assoluta per cui non pretende assolutamente di rivelare mondi, suscitare passioni. Io credo che il manuale funziona se assunto come sobria guida turistica, né più né meno, o come un elenco telefonico. Memorizzare i numeri telefonici può servire, ma una volta che so i pompieri, il pronto soccorso, la ragazza, gli amici, la famiglia ... il resto non lo memorizzo; però so che esiste una cosa così e, quando mi serve, ci ricorro. Allora, grosso modo, è come quando vado a Palermo; conosco poco la città, mi armo di una guida che mi permetta, alla bisogna, di consultarla utilmente. Ha una funzione orientativa, è una specie di quelle “i” minuscole che ormai si incontrano, per “informazioni”, dappertutto: ho bisogno di informazioni, e ormai tutti sanno che c’è una ”i” di solito in un bel cerchietto azzurro vado lì e so.

Il Bignami ideale, che è da fare, funziona bene come riferimento. Come sarebbe assurdo pensare che si viaggia per imparare una guida o che lo studiare la guida sia il modo per conoscere il mondo, se voglio comunicare con le persone, non mi metto a leggere e memorizzare l’elenco telefonico, se voglio conoscere la letteratura, non mi leggo un manuale di storia della letteratura ma leggo i testi, non il testo, non il testo scolastico ma i testi in un libero esame giustappunto, per quanto è possibile.

E anche qui citerò De Mauro quando fa l’elogio dei grafici, dei processi di iconizzazione; sono utili esattamente come nella guida turistica certi riferimenti: mi oriento subito, trovo il duomo, ecco lì il ponte che attraversa quel fiume, guarda come scorre il fiume, ecco i principali alberghi, la stazione ferroviaria, ecc., ecc. Viaggiando, consulto la guida; però hanno pure ragione i giapponesi quando si mettono lì a fotografare, perché, bene o male già vedono, sia pure attraverso la macchina fotografica, poi tornano a casa e rivedono di solito l’effetto della seconda operazione sulla prima produce per noi qualche utile stupore e si guarda veramente quando, arrivati a casa, finalmente si osservano bene le cartoline, con gli amici a cui ho provveduto a spedirle. Ma la situazione reale vissuta, è quella per cui non si guarda niente, e davanti al monumento si legge quello che dice la guida. A scuola, almeno, accade questo.

Chi legge l’Orlando furioso, ma che dico, chi legge più i Promessi sposi? Dei Promessi sposi esistono splendidi riassunti espositivi, dove si spiega tutto quello che c’è da dire agli orali su Renzo, sulla figura di Lucia, sulla Provvidenza. Ma chi legge Dante Alighieri, e perché mai dovrebbe leggere, quando deve sapere quando visse quel pontefice e cosa succede un girone più sotto di quell’altro, quali sono i personaggi fondamentali del XIII canto? Questo, non è leggendo Dante che possa impararlo, ma leggendo i commenti, i cappelli introduttivi, i manuali e quant’altro passa la scuola. Ecco, io mi pronuncerei dunque contro il manuale quale struttura sostitutiva dell’esperienza dei testi, e quindi tale da distruggere puramente e semplicemente la letteratura italiana, fungendo da vero suo Ersatz globale.

Piccola parentesi sulla storia della letteratura. Come sapete, il modello desantisiano è andato in crisi, e ha aperto un grande dramma: storia o letteratura? semplificando molto le cose. Ricordo qui il pronunciamento di Asor Rosa: letteratura e non storia. Ci sono due  opzioni fondamentali: o mi rivolgo alla letterarietà, e questo appartiene a un ordine di psicologia platonica. per cui chi crede alla cavallinità è portato anche a credere che esista la letterarietà, oppure secondo me ci si orienta verso la storia.

Se ci si orienta verso la storia, il problema presenta analogie molto forti con altre discipline. Mi permetto di insinuare l’idea che come posso usare bignameschi manuali di storia letteraria, qualcosa di simile sarebbe auspicabile per le storie della storia e le storie dell’arte e se soltanto ci fossero le storie delle scienze e le storie della filosofia. Ammiravo enormemente il Guzzo, il manuale non l’uomo, che era fatto, cosa a quei tempi rara, a partire dalle opere dei filosofi, a dispetto delle molte più apprezzate storie di Abbagnano, in cui per solito i filosofi erano signori i quali avevano una logica, poi avevano una fisica, poi, quando l’avevano, avevano anche magari una estetica, poi avevano una morale. Che scrivessero libri, come per lo più accade, era un fatto secondario. Il Guzzo era convinto giustamente che fosse bene partire dai libri dei filosofi. Allora si espone ciò che i vari libri dicono, non la morale del tizio, ma quel tale suo libro determinato. Qualcosa di simile, se i manuali stessi di storia esibissero documenti, e si spiegasse come si fa la storia e si incitasse in qualche modo a fare questo. Allora, ecco a cosa volevo arrivare.

Oserei dire che, partendo da una guida, sarebbe bello che gli studenti, nel corso della scuola media, scrivessero un loro manuale, leggendo dei testi e, in collaborazione scolastica, facendo proposte, mica necessariamente dalle origini ai giorni nostri, ma per intrecciarle a ricerche monografiche, oggi una cosa, domani un’altra; un po’ come si fa all’università dove si dà per scontato, quando si è saggi, il manuale istituzionale. Questo dovrebbe già saperlo, visto che gli hanno dato la maturità, e allora facciamo finta che lo sappiano; invece devo ammettere che anche all’università chi biennalizza si trova in questa straordinaria condizione, che al primo anno porta, poniamo, la letteratura dal Due al Seicento e al secondo anno dal Settecento ai giorni nostri. Capisco ancora il primo anno, ma perché mai sia lecito al secondo, dopo avere dimenticato tutto quello che va dal Due al Seicento, invece sapere tutto quello che va dal Settecento ai giorni nostri, questo mi è misterioso. Io devo dire che sono fra quei pochi, per cui di letteratura all’esame non chiedo più nulla, salvo che entri strettamente nel discorso, che sia pertinente alla questione testualmente affrontata, ma se la cosa è pertinente, lo è nel Trecento, lo è nel Cinquecento, lo è nel Novecento. E agli studenti che dicono: ma come dobbiamo prepararci? io dico tranquillamente: preparatevi bene perché se poi non sapete dov’è Locarno ... io lo so che è cosa non attinente alla letteratura italiana, ma non vi promuovo lo stesso.

Allora è bene leggere i testi. Questo è il punto primario. E questo non tanto perché è passaggio, che pure è, da non leggenti a leggenti, ma perché questo è quello che si fa, se si vuol fare un po’di letteratura: avere a che fare con la letteratura. Si leggono i testi; si leggono e non si studiano, perché, oserei persino dire, perché lo studio, come sa chiunque ricordi testi che abbiano contato per lui in qualche modo, nasce dal leggerli davvero, così come non si imparano a memoria le poesie quando, passeggiando avanti e indietro, si cerca di rimescolare in bocca Il 5 maggio per la decimillesima volta finché nella zucca si imprimano una via l’altra le parole, ma per la pura passione della lettura, per cui quel testo entra in mente come le canzonette. Ma chi diavolo si mette lì a studiare Volare? «Volare oh, oh, cantare oh, oh, oh». Ma nessuno lo fa, anzi lo faceva, via; sì, la si ascolta, riascolta, si comincia a canticchiarla e così, così va il mondo, insomma quando si esce fuori, perlomeno, dalle grigie aule scolastiche e si frequentano i testi.

Avrò modo un’altra volta di dire qualcosa sopra la fabbricazione collettiva dei commenti in aula e sarebbe cosa anche questa molto utile. Per questo prenderei, in partenza, testi sobriamente annotati; ci sono tante edizioni tascabili, ormai a moderato prezzo. Questo certo presuppone lo sviluppo fortissimo della biblioteca scolastica, d’aula, di corso, di istituto ma, per i compiti, son già tante le biblioteche dove oggi numerosi vanno gli studenti delle scuole medie, per lo più a fare ricerca, cioè a fare quel tal lavoro che da adulti faranno magari  producendo manuali, ma che adesso svolgono invece confezionando collage, che è una grande arte. È bene insegnare l’arte del collage il povero Benjamin sognava un’opera di sole citazioni che dicano già tutto fateli fare questi collage, ma libere et aperte, non clandestinamente cercando di fabbricare un prodotto pseudocreativo.

Vi risparmio tutto quello che avrei da dirvi sopra la necessità di fare irrompere gloriosamente la storia della lingua nella storia della letteratura perché si esce, oggi, dall’esperienza scolastica della letteratura italiana ignorando fondamentalmente il fatto che esiste una storia della lingua, o è cosa tutta marginale, incidentale, e avventurosa. Ed ecco vengo all’ultimo punto che è l’antologia.

Tutto quello che ho detto, indica già automaticamente come mi schiero contro l’idea dell’antologia, per cui alcuni signori hanno provveduto, magari anche meditatamente, a selezionare testi significativi. Ma, pensate che bello sarebbe se invece un gruppo scolastico, una classe, si proponesse: quest’anno ci facciamo un’antologia di questi due secoli, della poesia cavalleresca italiana, e della poesia religiosa dell’Ottocento. Chi più ne ha, più ne metta; basta mettersi d’accordo, si possono fare i gruppi, si collabora si lavora. All’antologia

insommasi arriva; non si parte dall’antologia, si parte dall’esperienza di testi, larga, abbondante, testi integrali: si legge tutto. Il Principe, tutti i Discorsi perché no anziché avere solerti mediatori che traducono il Decameron in italiano corrente, perché è quasi un privilegio della nostra lingua, in Europa, che noi possiamo ancora leggere i testi del Duecento senza veramente dover apprendere un altro sistema linguistico. Bene, l’antologia si fa.

Arrivati a questo punto, quando tocco questo tema, ricordo sempre, quanto scriveva il Foscolo parlando di sé, sotto il nome di Didimo Chierico, nella Notizia intorno a Didimo Chierico, il quale personaggio non leggeva da cima a fondo se non la Bibbia e questo si spiega molto bene, data la cultura d’epoca; e poi non è una così brutta raccomandazione in un paese dove non la legge nessuno (se non specialisti o insonni che in albergo non dormono: ormai è usuale anche m un grande paese cattolico cosa delicatissima proporre in alternativa alle porno-proiezioni notturne la lettura del Deteuronomio).


E degli altri libri che faceva Didimo Chierico? Strappava le pagine che giudicava importanti e si era fatto un libro suo. Se tutti gli studenti uscissero dall’esperienza della scuola media avendo un loro libro, come genialmente il Bollati, quando lavorava ancora per Einaudi suggerì a Primo Levi chiedendogli una sua antologia personale; se questa uno se la facesse, se la commentasse, se la ragionasse e venisse a delineare in qualche modo una storia della letteratura per sé, mi parrebbe un risultato eccellente. Anche perché renderebbe trasparente una cosa che di fatto esiste: siamo tutti antologie viventi, molto disorganizzate, con infinite altre cose rimescolate, fotografie, quadri, frammenti di musiche, per lo più cose, in grandissima parte, abiette e vergognose. Stenteremo tutti ad ammettere che nella memoria ci è rimasta impressa quella tale illustrazione di libro, che giudichiamo per altro orrenda, quella sequenza di film che vergognosamente abbiamo visto, quella romanzaccia che ci ha commosso e che però è legata eternamente al primo amore; siamo così, oggetti compositi, come diceva Gramsci, eterogenei, confusi; depositi stratificati da cento culture, un po’ come è nato il Testaccio a Roma, come accumulo di rifiuti, di cose del mondo che ci sono piovute addosso e che noi abbiamo cercato di organizzare risistemando. Fatta liberamente e apertamente, con libero esame critico, con discussione in aula, dove non ci sarebbe più da insegnare niente, né da studiare nulla, salvo discutere, confrontare opinioni, e organizzare questa sorta di antologia ideale che ognuno avrà contribuito a creare, questa è l’unica cosa sensata che io mi sento di proporre, per insegnare e imparare letteratura,


La visione di Sanguineti è fondamentalmente corretta:

1. Insegnare letteratura ? Sì ma (in principio) senza manuale e storia letteraria
2. La lettura letteraria deve basarsi sulla letteraretà (il carattere letterario, l´accento su quell´aspetto specifico che la letteratura ha? ) . La sua risposta è negativa
In questo caso, NON  sono d´accordo. Perché il carattere letterario include anche altri aspetti (come quello storico, autobiografico, ecc.). Un testo non potrà MAI eessere visto dal punto di vista in cui lo vedeva il lettore dell´epoca (per es. il lettore di Dante all´epoca di Dante). Noi siamo sempre lettori ANACRONISTICI, leggiamo sempre DOPO ...
3. Somo d´accordo con Sanguineti, quando cice che si parte dall´ESPERIENZA

"non si parte dall’antologia, si parte dall’esperienza di testi, larga, abbondante, testi integrali: si legge tutto. "

Devo trattare un tema alla volta. Penso al compito di INSEGNARE (insegnare la letteratura, insegnare in generale, insegnare nell´epoca del Coronavirus, insegnare dopo la terza rivoluzione nell´apprendimento che, secondo Marshall Mac Luhan segue 1. l´invenzione della scrittura (circa 5000 anni prima di C.) 2. l´introduzione della stampa (nel sec XV da Gutenrberg) e negli anni ´90 del sex XX con l´internet. 

un esempio di prima scrittura       e uno dei primi computer, della fine del secolo scorso

La prima verità  è che NON  si puó piú insegnare in maniera tradizionale (né lo si poteva prima, ma non era tanto evidente). 

Quanti sono i libri e le informazioni (per restringerle all´ambito del nostro tema) sulla questione letteraria? Saranno probabilmente milioni . La risposta è presto trovata su ... google:  (According to Google's advanced algorithms, the answer is nearly 130 million books, or 129,864,880 ) Naturalmente, questi 130 milioni di libri non saranno tutti di nostro interesse! Non saranno tutti di letteratura. Ma é evidente che possiamo accedere a una biblioteca MOLTO maggiore di altre generazioni. 

la macchina a stampa di Gutenber     e le prime pergamene ritrovate 
ILMIOLIBRO - La stampa dalla nascita all'invenzione dei caratteri ...Segreti del Vaticano: antico Manoscritto rivela che gli Esseri ...

La parola INSEGNANTE viene da segno/ segnare/ indicare. Tutti abbiamo visto che l´insegnante del secolo scorso, INDICAVA i contenuti, per es. sulla cartina geografica. Il suo compito era quello di "passare" un contenuto "spiegarlo", indicarme gli aspetti piú importanti. Per alcune determinate materie e per alcuni aspetti limitati, questo puó essere ancora valido. Ma il problema è che l´accesso all´informazione è diffuso. Tutti possono accedere alle opere fondamentali.

Chimica Lavagna Insegnante Illustrazione, Dell'insegnante, Chimica ...


Il problema si restringe ad alcuni aspetti: 

1. a cosa può essere utile un "docente"? 
(docente viene da "docere" in latino e significa anche insegnare, "indicare"
2. Quali sono i temi che dovrebbe sviluppare? 
3. Come accedere a contenuti interessanti per la letteratura
come avvicinare l´interesse alla letteratura
4. Fare una ricerca su contenuti digitali, senza perdersi? 
5. Ci sono alcuni esercizi utili ? 


Risposte (parziali) 
1. un docente puó essere utile solo se è in grado di comprendere le potenzialitá del proprio gruppo di studenti: si tratta di una comprensione di carattere psicologico e tecnico. Occore partire dal fatto che l´inetersse per la letteratura non è grande, nel mondo attuale. Letteratura e visione umanistica sono legate a uno schema del passato. 
Ma io NON  sono d´accordo. È vero che la maggioranza delle persone non ha un interesse spiccato per libri impegnati, arte e musica in genere (che non sia solo intrattenimento). Ma è anche vero che le persone non si rendono conto che ramite inter pervengono dei MESSAGGI  (nella maggior parte COMUNICATIVI), CHE devono ESSERE INTERPRETATI. 



Um comentário:

  1. Um grande desafio ensinar literatura - orientar a leitura - na era digital. A facilidade no acesso a textos hoje disponibilizados em bibliotecas do mundo todo se contrapõe ao processo de leitura fragmentada que se vê na era digital. Como orientar a leitura no mundo atual, durante a pandemia? Vemos revisitados clássicos como Boccaccio e Camus dando abertura para introdução da literatura sobre a peste. A literatura tem o poder de nos transportar para novos universos ou para um tempo remoto. Podemos aprender com os clássicos ou nos reinvertarmos com os contemporâneos e vice versa.

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