domingo, 11 de março de 2012

Leggere anche i bestseller/ leggere tutto !!


Vogliamo leggere anche i bestseller / Vogliamo leggere tutto !

A proposito dell´invettiva di Pietro Citati contro la lettura dei bestseller  (O tempora o mores !)

Pietro Citati è um critico di un´antica generazione (è nato nel 1930). Prolifico, elegante, finíssimo. Da ricordarsi (la memória è debole) l´armonia del mondo, Kafka (due che ho letto) e molti molti altri. Dunque, una critica (che ha tutto il sapore di un´invettiva) che viene da questo pulpito deve essere letta, pensata e analizzata.  Riflettuta assai. Certo è che,  essendo di fatto portavoce di una generazione precedente, viene anche il dubbio che il suo ”O tempora o mores” sia legato a una visione generazionale...
Anni fa, a San Paolo (Brasile) Edoardo Sanguineti lanciava una delle sue implacabili battute (ed era a casa nostra). “Non si è mai prodotta tanta poesia come al giorno d´oggi”, diceva il vivacíssimo critico. Un paradosso, quello, che contrappone l´ideale della produzione (una vera idiozia), con il consumo che, nel caso della letteratura è certamente um problema di qualità (di lettura) e non kg di peso della carta. Allarmato, Citati afferma:

Anche i numeri stanno calando. Negli ultimi mesi le vendite dei libri — sia delle clamorose novità sia del lento catalogo — sono discese di circa il 12 per cento rispetto agli anni precedenti: così mi dicono.

Siamo bombardati da notizie che vengono dallle nostre economie che “crescono”, quando si vendono il 5% o il 13 % in più di automobili  e “sono in crisi”, quando l´aumento delle  vendite scende al 3%, o giù di li. Il problema certamente non sta nelle vendite (o non solo nelle vendite) dei libri. Il problema sta nel livelli di lettura e si nasconde su un  altro piano: quello dell´intensità, riferimenti (intertestuali), apertura in rapporto al carattere infinito delle letture possibili.  Forse il problema sta nel rapporto con quello che siamo abituati a chiamare i classici (e su cui Italo Calvino ha scritto um divertente elzeviro sull´Espresso: “Perché leggere i classici”).
Il problema non è, a mio avviso, lo stabilire che leggere i classici è un bene e leggere un bestseller è un male. In fondo, Boccaccio, con il suo Decameron a suo tempo, era certamente um bestseller (se a ritroso si può usare questa categoria). Ed anche Dante lo era (tutti lo sapevano a memoria, anche se lo storpiavano).
Oggi, è evidente, la letteratura non gode di quel prestigio che le arrideva nel sec. XX o prima. L´intellettuale umanista è tollerato, è relegato a insegnare in conventi sconosciuti al grande pubblico, chiamati Università (l´idea non è mia, ma dell´amico Raul Mordenti nel suo ottimo L´altra critica). Il patto implicito è che l´intellettuale, rinchiuso nella prigione dorata, non può e non deve interferire negli affari della società , Può sì  teorizzare, ma senza passare alla pratica (la XIa tesi di Marx su Feuerbach lo suggeriva: “Fin´ora gli intellettuali si sono limitati a interpretare il mondo. E giunta l´ora di cambiarlo”).


 Da sinistra: l’americano Dan Brown (1964), padre del «Codice da Vinci»; Giorgio Faletti (1950), autore di numerosi bestseller italiani a partire da «Io uccido»; il brasiliano Paulo Coelho (1947), diventato celebre in tutto il mondo con il romanzo «L’alchimista» del 1988
No. Leggere i classici, non cambierebbe questo stato di cose. Occorre vedere come leggerli. Perché uma lettura pedissequa, tradizionale, scialba e sottomessa alla tradizione può produrre solamente dei Funes (da Funes El memorioso di Borges, il malcapitato che ricordava assolutamente tutto e com cio non riusciva a pensare e  ad agire), può riprodurre dei lettori sottomessi e, quindi, a loro volta: scialbi.
Leggere suppone uma etica della lettura , cioè un´arte del  leggere, in cui il lettore fronteggia il testo, per trovare un´apertura nuova e produttiva: secondo i dettami della critica stilistica (di Spitzer e Contini), o secondo quanto afferma Harold Bloom. Il lettore, cercando il varco, la fessura d´entrata nella macchina del testo, dovrà prima esploderlo, ridurlo a frammenti, per poi ricostruirlo, secondo un altro piano, un´altra strategia.
Tra il testo e l´interpretazione nuova del lettore si apre un conflitto (come afferma Bloom nella sua Angoscia dell´influenza) in cui – aggiungerei – il lettore afferma la sua interpretazione perché pervalga e permetta una nuova lettura, produttiva e pertinente. Questa scelta – del lettore – è una scelta difficile, complessa: ed è uma scelta di liberta. Per questo un´etica della lettura.
Condivido, in ogni caso, il giudizio sottinteso di Pietro Citati su Paulo Coelho, perché proprio per un esercizio di lettura (gli studenti della mia università lo leggevano, era stato innalzato a membro della prestigiosa Accademia brasiliana di Lettere) avevo preso, mi pare, il suo l´alchimista. E nella mia lettura trovavo che Coelho usava fondamentalmente tre ingredienti:
1. La lunghezza dei suoi capitoli era della durata di una fermata di metropolitana (per facilitare uma lettura “di corsa”
2. A volte ci sono delle citazioni anche interessanti (la cui ricerca su Google è grátis e rápida), com cui  invogliare il lettore curioso, alla stregua di un oroscopo  o una filosofia a buon mercato e
3. Una mistica molto al di sotto della pur tênue Madame Blavatski, che però poeti anche famosi infatuava. Una mistica che sembrava il frutto di un patto con l´Osservatore romano o qualche Istituzione come l´Opus dei (mi ricordo che questo era um fenomeno che si poteva attribuire anche a Susanna Tamaro, allora mia amica), con facilita di divulgazione in università e Istituzioni varie... Al di la di questi tre elementi, non vedevo nella scrittura di Paolo Coelho niente di considerevole (il tema del viaggio è scontato, l´ascensione, ecc.). Ciononostante, suggerisco una difesa della scrittura, qualsiasi cosa essa sia, anche leggera, leggerissima ... Non ci piace a tutti anche la musica leggera, cioè d´intrattenimento?  C´è qualcuno di noi che non ha mai letto della letteratura “leggera”?  Personalmente sono un fan della fantascienza, su cui Tarkovski, per es. si è ispirato per dirigere Solaris e Stalker, tra gli altri..
Dan Brown e Giorgio Faletti, non ho avuto la fortuna di leggerli. E non mi esprimo. Mentre su Le nozze di Cadmo e Armonia avrei qualcosa da ridire, cioè: si tratta di un testo ultraerudito, ma che non arriva a una densità letteraria autonoma.
Poiché letteratura non è saper usare un linguaggio forbito, far riferimento ai classici, sapersi muovere fra riferimenti intertestuali e intersemiotici. Letteratura è scrivere, in principio, qualcosa originato da un´esperienza autentica (non necessariamente vera, verosimile). Autentica da acutofr, l´autore, com forza autorale. Un´esperienza come  quella del mondo dei sogni (autobiografico) rappresentato da Sigmund Freud (quel grande romanziere!). Sono convinto che si possa parlare di letteratura, quando un´esperienza originale è  rappresentata in maniera originale. Non è possibile avere uno stile del tutto  tradizionale, e voler  rappresentare qualcosa di completamente originale.
Ma la discussione è positiva. Meglio discutere che non discutere. Così com `è meglio leggere che non leggere ! Dice Citati: “ Oggi la lettura tende a diventare una specie di orgia” Potremmo concludere – molto provvisoriamente - che, pur rispettanto Citati e la sua generazione, non tutti condividerebbero la condanna delle orgie: da Petronio al Decameron, da Sade a molti altri...



domingo, 4 de março de 2012

Goya, entre sonho e sono: um problema de leitura

El sueño de la razon produz monstros
O sonho/ sono  da razão produz monstros
                     

                                                                       La fantasía abandonada de la razón produce monstruos imposibles:
unida con ella es madre de las artes y origen de las maravillas
Goya

Um homem desfalecido, dobrado em cima de uma mesa está em primeiro plano da imagem. Numa parede da mesa, em que se apóia, está inscrita a frase que é o título desse Capricho de Goya, o 43. de 80, que ele terminou em 1799, na véspera do século novo. O homem esconde sua cabeça entre os braços, pode estar em soluços. Sua vestimenta é longa e elegante, de um representante da aristocracia ou da burguesia. Ele está fortemente iluminado, como se estivesse no palco; atrás dele, ainda iluminada, um grande passaro, talvez uma coruja, com suas asas abertas; à esquerda e à direita mais corujas e em baixo, atento, um gato enorme, ou uma lince. Em segundo plano animais estranhos, sorrateiros e noturnos. Monstros somente esboçados, na semi-obscuridão: provavelmente morcegos, mas os contornos não são claros. A imagem provoca compaixão em relação ao homem, esgotado e deprimido. Os olhares fixos e alucinados dos animais transmitem espanto, mas também uma atmosfera de delírio misturado a temor ou terror. Um pesadelo: um peso excessivo esmaga o homem, como por pressão de um conjunto de criações do sonho, que não podem ser detidas.
Na água-forte realiza-se uma dupla cena, um duplo triângulo retângulo, um iluminado e outro obscuro e os dois completam uma figura que forma quase um quadrado: o homem completamente esgotado, tremendamente cansado ou fortemente deprimido, encolhe-se completamente, num afastamento completo do mundo que o cerca. Ele não percebe os inúmeros bichos que o fixam com um olhar curioso e pouco comum e que criam uma atmosfera alucinada e hostil ao mesmo tempo. O homem  enterra sua cabeça em seus braços, definitivamente perdido, antecipando a total prostração do homem deseperado de um desenho de Franz Kafka. Os bichos são, ao mesmo tempo, produtos de sua imaginação e seu íncubo, pois o próprio título declara que “El sueño de la razón produce monstros”. O  íncubo, representado pelos animais mitológicos ou  demoníacos, pressiona o inconsciente do protagonista. E há o aspecto contraditório da criação ou criatividade (produz), que antecipa os monstros da cultura ou civilização. Sabemos que o homem retratado é o próprio autor, que não  mostra o próprio rosto. Mas no Capricho n. 1, programática, há uma apresentação de Goya, em trajes elegantes, olhar irônico e desdenhoso. O  Capricho n. 43, uma forma de espelho, praticamente no meio da série de 80 Caprichos.

Há, finalmente, o problema - crucial - da tradução da palavra sueño (El sueño de la razon produz monstros), pois em espanhol sueño traduz-se “sono”. Algumas  traduções em várias línguas optaram por traduzir sueño por “sono”: por ex. em italiano “Il sonno della ragione”, em inglês “The Sleep of Reason Produces Monsters” e em francês, Le sommeil de la raison produit des monstre. Em alemão mais a opção Traum sonho, em e em português as duas opções. Nos desenhos  preparatórios aos Caprichos, Goya tinha usado a palavra sueño: “O autor sonhando. Sua única tentativa banir prejudicial vulgar e perpetuar com esta obra de caprichos o testemunho sólido verdad. Deve-se traduzir, portanto, o sonho da razão ... ou o sono  da razão, ou algo ... entre as duas?  A ambigüidade é ... muito produtiva!