terça-feira, 31 de março de 2020

Stile I (come arrivare ad avere STILE)



Si tratta ancora di una bozza!!!
ATTENZIONE!
DEVO CORREGGERE ALCUNI ERRORI

 sul tema dello STILE , perché Heglan Moura (assistente/ monitor) di letteratura italiana I me lo ha chiesto (!). Mi accorgo adesso che se si scrive sullo STILE, bisogna pensare a due cose: come su LEGGE e cos´e´lo stile.
Lo stile (se cercate su un dizionario, per es. Treccani) ha diverse possibilità di essere definito (Stile viene da stiletto che era un arnese che serviva per incidere le parole sulle tavolette di cera, prima dell´avvento della carta e prima della stampa). Ma, questa è la storia del termine. Un termine può essere spiegato tramite la sua etimologia e tramite la sua storia. 
Per me Stile è una questione essenziale, che riassume la nostra ESPERIENZA AUTENTICA, quando riusciamo a trasformarla in espressione (letteraria, artistica o musicale). 
LEGGERE è la nostra esperienza, un´esperienza di tutti i giorni, solo che molte volte un testo ha caratteristiche differenti. Ci sono testi da leggere e dimenticare o buttare via (per es. una ricetta di un farmaco, una notizia su un giornale). Sono testi COMUNICATIVI che servano a passare una certa informazione, senza molti scrupoli e senza molta attenzionen da parte del lettore. 
Attualmente, riceviamo una serie di testi, via Cellulare, computer. Si tratta di testi per lo più del primo grado: da leggere e buttare via. Oppure, da leggere e riconoscere se si tratta di testi appoggiati su elenmenti equilibrati, oppure quelle che chimaiamo FAKE NEWS. 
Ma ci sono i testi letterari e le espressioni artistiche. Quelle si riconoscono, perché il testo fa appello al lettore per non leggere solo "QUELLO CHE C´E APPARENTEMENTE SCRITTO, ma vedere sotto al testo, fra le parole, qualcosa di enigmatico (come dice Benjamin), oppure diversi strati di lettura possibile (come dice Dante). Questi ultimi testi hanno una caratteristica: ogni volta che si leggono trasmettono un qualcosa in più, perchpe incorporano il contesto del lettore, che cambia sempre. è per questo che si può rileggere la Bibbia (l´Antico Testamento, per es.) e trovarci delle cose che non erano state vistem, che possono arricchire il testo.  Certo, non sempre riusciamo a fare una lettura di questo tipo. Ma CI DOBBIAMO PROVARE. è solo a lettori che pensano che IL TESTO PUÓ PARLARE LORO DIRETTAMENTE è che il testo si apre a nuove possibilità. Voi potrete dire: ma questa è una pazzia! "Il testo parla direttamente??". Ma quandomai? Eppure, ve lo garantisco, anche se questa è un´impressione, una supposizione, un´ipotesi: il testo PUÓ PARLARE. E quando comincia a parlare, ci dice un sacco di cose.

Non é un testo "chiuso" e pronto, anche se ripenso alcune questioni che avevo già elaborato in passato.


1. Lo stile è l´uomo. Questa è un´affermazione di Buffon, uno scrittore barocco. La frase ha il suo fascino: perché noi, in fondo, tutti abbiamo uno stile. Uno stile, in questo senso, vuol dire una forma di presentarci (esteticamente, con la nostra gestualità, la nostra mimica, la nostra voce: nnon solo il timbro, che  non possiamo cambiare, ma l´altezza, il volume). 

In realtà, possiamo dire il contrario: lo stile non è"l´uomo" ma è una conquista, testo dopo testo, frammento dopo frammento


2. KAFKA (lo stile di K) “Forse esiste qualche altro modo di scrivere, ma io conosco soltanto questo: di notte, quando la paura non mi lascia dormire.” KAFKA


una frase che rimette a concetti complessi: angoscia (la paura/ di notte), la difficoltà.

3. NABOKOV (lo stile di N)  Per avere uno STILE nella scrittura, occorre sviluppare un´arte nella LETTURA.  Eppoi: leggere. Fare un riassunto (scrivere). Rileggere e rivedere il riassunto. Poi me lo potete mandare.
Dice lo scrittore russo NABOKOV: 


“Quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro. Se si parte invece da una generalizzazione preconfezionata, si comincia dalla parte sbagliata e ci si allontana dal libro prima ancora di aver cominciato a capirlo”.
Lui dice: cogliere (e fin qui è normale): cogliere, individuare, focalizzare, individuare (usare dei sinonimi, a volte, è essenziale). Ma poi diceaccarezzare i particolari. Accarizzare si fa con un ente amato, con un´animale domestico, con un figlio, con qualcos acon la quale si stabilisce un legame affettivo. Infatti lui usa la parola affettivo , dopo aver usato una frase IORNICA (le solari inezie del libro). NABOKOV suggerisce (ed io sono particolarmente d´accordo) che non bisogna realizzare una generelaizzazione preconfezionata. 

4. BOCCACCIO Ma c´è chi vede la scrittura con più ottimismo: penso a Boccaccio (che ho citato varie volte). L´autore risiede in una città che è stata desolata dalla peste nera, quella del 1348. Ha perso dei parenti (non si sa se è rimasto in città oppure no).

5. Prendiamo UNO SCRITTORE CONTEMPORANEO ITALIANO:  Italo Calvino, per esempio:  https://ilmestierediscrivere.com/2011/12/05/italo-calvino-perche-scrivo/

Italo Calvino: perché scrivo




Scrivo perché non ero dotato per il commercio, non ero dotato per lo sport, non ero dotato per tante altre, ero un poco…, per usare una fase famosa [di Sartre], l’idiota della famiglia… Frase divertente. Scrivo per distrarmi, per riscattarmi, per farmi notare, per non far notare i difetti che ho.

In genere chi scrive è uno che, tra le tante cose che tenta di fare, vede che stare a tavolino e buttar fuori della roba che esce dalla sua testa e dalla sua penna è un modo per realizzarsi e per comunicare. Scrivere per comunicare, ma anche scrivere per riflettere,.organizzare le proprie idee. Per es. quanti di voi la mattina su guardano allo specchio? E cosa vedono? Tutti gli infiniti dettagli che vorremmo DIVERSI, che vorremmo CAMBIARE che vorremmo UGUALI AD ALTRI che pensiamo siano MOLTO migliori di noi.

Posso dire che scrivo per comunicare perché la scrittura è il modo in cui riesco a far passare delle cose attraverso di me, delle cose che magari vengono a me dalla cultura che mi circonda, dalla vita, dall’esperienza, dalla letteratura che mi ha preceduto, a cui do quel tanto di personale che hanno tutte le esperienze che passano attraverso una persona umana e poi tornano in circolazione. 

Dare il proprio 'TOCCO PERSONALE" (questo é stule) cercare di appropriarsi delle esperienze (le proprie) e dargli una forma, una veste, un abito. 

È per questo che scrivo. Per farmi strumento di qualcosa che è certamente più grande di me e che è il modo in cui gli uomini guardano, commentano, giudicano, esprimono il mondo: farlo passare attraverso di me e rimetterlo in circolazione. Questo è uno dei tanti modi con cui una civiltà, una cultura, una società vive assimilando esperienze e rimettendole in circolazione (1983). Rimettere in circolazione delle idee, delle esperienze. Beh, qui non sono tanto d´accordo. Esiste una tesi (che Umberto Eco aveva diffuso) secondo la quale non si riuscirà MAI a dire delle cose COMPLETAMENTE NUOVE, ma si puó provare a dirle in maniera un po´ diversa. No, non sono d´accordo (questo è il MIO stile!). Ognuno di noi ha una ESPERIENZA (per esempio dei sogni, delle sensazioni, degli odori che sente). Il vero problema dello stile è quello di trovare la forma ADEGUATA di esprimere queste sensazioni. Perché il nostro vicino, il nostro lettore, non vede attraverso i nostri occi, ma - leggendo il mondo con noi, tramite noi o tramite il nostro testo, può raccogliere un´esperienza in più. 

Scrivo perché sono insoddisfatto di quel che ho già scritto e vorrei in qualche modo correggerlo, completarlo, proporre un’alternativa. In questo senso non c’è stata una “prima volta” in cui mi sono messo a scrivere. Scrivere è sempre stato cercare di cancellare di già scritto e mettere al suo posto qualcosa che ancora non so se riuscirò a scrivere.Sí, quando si scrive (ma io non so farlo) la sensazione è che non si riescve. Una sensazone di insufficienza, di frustrazioe, di impossibilità. Perché scrivere, in fondo, è creare. Ma creare non è facile. è come creare un mondo. Come creare IL  mondo. 

Scrivo perché leggendo X (un X antico o contemporaneo) mi viene da pensare: “Ah, come mi piacerebbe scrivere come X! Peccato che ciò sia completamente al di là delle mie possibilità!”. Allora cerco di immaginarmi questa impresa impossibile, penso al libro che non scriverò mai ma che mi piacerebbe poter leggere, poter affiancare ad altri libri amati in uno scaffale ideale. Ed ecco che già qualche parola, qualche frase si presentano alla mia mente… Da quel momento in poi non sto più pensando a X, né ad alcun altro modello possibile. È a quel libro che penso, a quel libro che non è stato ancora scritto e che potrebbe essere il mio libro! Provo a scriverlo…Si scrive SEMPRE  a partire da un modello, da un testo, da uno scrittore che si conosce, che si ama, da qualcosa che si vorrebbe emulare. Forse, ma qui c´è di nuovo una piccola differenza. Noi tutti abbiamo una qualc he verità, piccola o grande, importante o apparentemente secondaria. Questa "verità" non è una "VERITÀ", MA È QUALCOSA CHE È VISTO TRAMITE LA NOSTRA OTTICA, LA NOSTRA PROSPETTIVA. Dobbiamo cercare di scrivere qualcosa cjhe serva a noi stessi. Perché se serve a noi, dimostra che la letteratura vale come CURA, come dicevamo sul Decameron.

Calvino in una caricatura di Tullio Pericoli

E qui, invvece3, sono pienamente d´accordo con Italo Calvino. Penso che noi, per imparare a scrivere, dobbiamo cominciare a scrivere su qualcosa di concreto. Un testo. una recensione, una scheda di lettura. 

 Scrivo per imparare qualcosa che non so. Non mi riferisco adesso all’arte della scrittura, ma al resto: a un qualche sapere o competenza specifica, oppure a quel sapere più generale che chiamano “esperienza della vita”. Non è il desiderio di insegnare ad altri ciò che so o credo di sapere che mi mette voglia di scrivere, ma al contrario la coscienza dolorosa della mia incompetenza. Il mio primo impulso sarebbe dunque di scrivere per fingere una competenza che non ho? Me per essere in grado di fingere, devo in qualche modo accumulare informazioni, nozioni, osservazioni, devo riuscire a immaginarmi il lento accumularsi dell’esperienza. E questo posso farlo solo nella pagina scritta, dove spero di catturare almeno qualche traccia d’un sapere o d’una saggezza che nella vita ho sfiorato appena e subito perso (1985). 


segunda-feira, 30 de março de 2020

SUICÍDIO OU VIDA
TÁNATOS OU EROS 

Escrevi esse texto hoje, 30 de março, em resposta a um ensaio de Vladimir Safatle https://jornalggn.com.br/…/bem-vindo-ao-estado-suicidario-…/ do dia 25 de março ("O estado suicidário"). Resumo: lembro da evocação por Eduardo Viveiros de Castro de GAIA, uma representação simbólica da mãe terra em suas reações devastadoras aos desequilíbrios ambientais.  E sugiro uma releitura da visão OTIMISTA do Decameron de Boccaccio, que a partir da morte (a peste negra) sugere voltar-se para o EROS, o AMOR




Vladimir Safatle, com o vigor e estilo forte, que o caracteriza, escreveu um texto, há alguns dias. Recebi este texto via emb. Jerônimo Moscardo, o grande criador do gruppo FILOSOFIA NA PRAIA, que agradeço (sempre!).
Segundo Safatle, estamos condenados à morte, que o estado (totalitário) nos está reservando.
"Você é parte de um experimento. Talvez sem perceber, mas você é parte de um experimento.... Esse experimento do qual você faz parte, do qual te colocaram à força tem nome. Trata-se da implementação de um “Estado suicidário” como disse uma vez Paul Virilio" (https://jornalggn.com.br/…/bem-vindo-ao-estado-suicidario-…/)
Confesso, que o texto de Safatle tem seu grande fascínio e, para mim - laico - tem o atrativo de adentrar-se em temas e conceitos que não conheço bem. Havia, há um certo tempo, uma teoria relativa à "fase final do capitalismo", também uma teoria que chamaria de "catastrofista". Na época pensávamos na Revolução, como fase final e agora orientamos-nos rumo à morte. Outras épocas.
O mundo está-se autoeliminando?
Um grande antropólogo brasileiro, Eduardo Viveiros de Castro , que numa entrevista (de 2014...velha? antiga?) falava de GAIA, um nome simbólico, para representar as enormes, diversificadas, sofisticadas e, ao mesmo tempo, bem realísticas pegadas dessa "mãe terra" ao mesmo tempo um / monstro".
Viveiros diz: "O homem é então lançado no incontrolável e até na desesperança, no território de Gaia, o planeta ao mesmo tempo exíguo e implacável. Como escrevem logo no início do livro, com deliciosa ironia: “O fim do mundo é um tema aparentemente interminável – pelo menos, é claro, até que ele aconteça”.
O nome GAIA remete àquela que chamamos "mãe terra": da tradição mitológica, Gaia é poderosa e domina a terra. Era a deusa mãe, da Terra , companheira de Urano e mãe dos Titãs e dos Ciclopes. Evidentemente, os elementos que os ambientalistas arrolaram (superaquecimento, concentração da população, mudanças climáticas e outros fenómenos) todos juntos podem ser considerados expressão dessa força poderosa que é Gaia.
Mas o suicídio de que fala Safatle é outro: remete à carta de Hitler (do tipo: "morra Sansão e todos os filistéus") de 1945.
NÃO! não me parece que a situação atual aponte para um suicídio coletivo. PRIMO LEVI escreveu um magnífico conto sobre o tema do suicídio coletivo: "Rumo ao Ocidente/ Verso Occidente" (em Vizio di Forma), desc revendo
uma espécie de animais paradoxais - os "Lemmings", votados ao suicídio.
È desde 1492 (data simbólica) que o sistema capitalista, tende a racionalizar a produção e maximizá-la (Marx que falava disso). Mas o sistema instaurou uma perversa hierarquia, pelo qual há sempre um CENTRO que domina sobre as periferias e semi-periferias (Immanuel Wallerstein, sistema mundial da economia européia). Esse sistema não possui ÉTICA. Ou seja: a intervenção do Estado (para redistribuição de renda,. com finalidaes sociais) é possível somente numa pequena escala. Na União Soviética - no passado - havia uma forma de capitalismo monopolístico de Estado. Atualmente na China há um estado híper IMPERIAL, que permite a o desenvolvimento de um sistema capitalista extremado (como podem os guardachuvas chineses custarem no Brasil 10 Reais? Qual ínfimo salário na China deve permitir isto?) . O sistema permite alguma fala (controlada) desde que NÃO COLOUE EM DISCUSSÃO O PODER.
Parece que o estado (no mundo) esteja evoluíndo rumo a um controle total das informações e esteja concentrando a gestão doi poder em poucas mãos: na China, na Rússia, na Turquia e, tendencialmente, no Brasil, na Itália.
A crise atual, parece, leva a uma exautoração (eliminação, empurrão para periferia) de qualquer inciativa para influenciar o estado (realizar planejameto, criar soluções mais justas de distribuição, defender os mais fracos). Assistimos a uma forma de teatro de fantoches (eles sim, fantoches, esvaziados, que, como mortos vivos, tentam criar com o exagero das próprias besteiras, um pequeno espaço).
Quem parece votado à morte mesmo é a personagem que comprimenta desobedece ao MANDETTA (não seria quem MANDA nesse campo?). Na Idade média, hávia uma figura mítica (mas não comprovada historicamente). Chamavam-no de UNTORE (o que "ungía" , infectava "propositalmente" casas, paredes, roupas e pessoas, para espalhar a pestilência (mas nunca foi provado que isto realmente aconteceu).
[Um paréntesis a propósito de nomes: uma questão irônica (sempre há algo de estranho nos nomes (nomina consequentia rerum?). Podemos ler em
https://www.cognomix.it/origine-cognome/bolsonaro.php , que esse sobrenome pode estar derivando de "bolzon", igual a FLECHA, DARDO, ou ter sua origem num sobrenome irônico: "CHACOTA" ("em italiano ZIMBELLO) , que pode ser traduzido até em "palhaço". O site continua, dando outra origem: aries, para detonar as muralhas./]
Um paradoxo, a partir de Safatle:
estamos rumo ao fim do mundo? Como na Idade Média? Havia uma alegoria chamada "O Triunfo da morte" e um quadro famoso (de Buonamico Buffalmacco https://it.wikipedia.org/wiki/Trionfo_della_Morte_) com esse título, que podem ver em baixo
Sim eles também falavam disso (memento mori). Mas Giovanni Boccaccio, autor do Decameron, a partir disso, criou uma fabulosa arquitetura de "novelas" sobre a força do Amor. Amor que vence a morte. 
   Il Trionfo della morte (Buonamico Buffalmacco, cerca de 1320, Pisa. A esquerda extrema três caixões. À direita: dez jovens que se entretém e contas histórias e tocam música. Acima deles a morte com sua foice. 


EROS vincet TÁNATOS: é o Decameron. É notável que Boccaccio continuou sendo OTIMISTA, embora a peste de Florença tenha sido bem mais dura do que o atual virus.
Concordo, com Safatle que o conjunto de medidas implantadas durante esse nefasto governo (substituição de representantes razoáveis, nas Instituições, com executores do poder) leva a um efeito sombrio (de repente, podemos acordar com um grupo agressivo, que via utilizar o poder que robou literalmente, e vai partir para uma "fase dois". Afinal, o fascismo italiano, começóu via constitucional (e até o nazismo) e somente em 1925 eliminou completamente as Instituições, fechando o Parlamento).
Mas, ao contrário disso, atualmente, o rei parece mesmo nu. E, sobretudo - todo mundo pode ver - nu e sem máscara. Ele mora ainda a 150 m. do comerciante de armas ligado a bandidos e é próximo daquele miliano morto a queima roupa na Bahia.
No lugar de um suicídio coletivo (os Lemmings) não seria mais produtivo pensar numa iniciativa razoável, de bom senso. Pensar que o Eros pode ser entendida como força propulsiva. POdemos dar sinal de vida (se estivermos perto do suicídio coletivo, o que fazer? Mas se tivermos alguma possibilidade com Eros, melhor aproveitar). Juntos podemos pensar em como realizar ou contribuir para realizar uma transformação.

(O rei está nu ou, pelo menos, sem máscara) 

domingo, 29 de março de 2020





Continuando sobre o tema PARERGON/ MOLDURA 29/03/2020
Por que insistir (ainda!) na questão da Moldura/ Parergon? Pois nessa relação (ambígua, conflitante, contraposta) entre moldura e imagem, está um problema da LEITURA. Nós podemos ler somente olhando a partir de um ponto de vista (uma perspectiva) e um determinado ângulo, para uma determinada superfície. Precisamos fazer uma ESCOLHA. E essa escolha equivale a uma interpretação. É claro que podemos tentar ignorar a moldura, podemos ter obhjetos SEM MOLDURA, ou podemos ter imagens que tentam fugir da moldura. Um exemplo disso é o quadro de Pere Borrel del Caso (aqui na Wikipedia), um pintor catalão do séc XIX, que apresenta esta fugura...
O protagonista está prestes a invadir NOSSO espaço. ele está CONOSCO, não mais preso em sua prisão/ moldura. (retomando o exemplo do Decameron, seu Proêmio - Introdução, quando narra seu próprio caso de amor, e a Introdução à 1a Jornada (quando descreve a peste) são duas molduras, às quais se juntam ao mínimo outras duas (os narradores que contam entre si histórias e Madama Oretta que narra uma história de omo narrar histórias) desta fo leitor é induzido a fazer uma correlação entre as molduras entre si, as molduras e a a utobiografia, a autobiografia e os exemplos anteriores de autobiografia (Santo Agostinho), a descrição da peste (moldura n. 2) com as descrições da peste anteriores, o título (Principe Galeotto) com os poetas do Dolce Stk Novo e Dante Alighieri (e o canto V, de Paolo e Francesca). Em prática, as molduras vêm produzindo sentidos e modificam, orientam, distorcem o texto narrado, que fdificilemnte pode ser lido ingenuamente como a história de dez jovens que fogem da morte (como o Decameron continua sendo apresentado)

O termo Parergon é usado por Jacques Derrida, em "A verdade na pintura". Ele é uma composição de duas palavras gregas: Para e ergon, uma espécie de "acréscimo a uma obra". Esta-se falando aqui da MOLDURA, algo de que já se falou. Parergon é um conceito retomado na época da Renascença, foi enfatizado pelo Folósofo Immanuel Kant. 
Para nós, Parergon representa mais de que uma ambiguidade (a moldura pode ser mais importante do quadro): é uma forma de identificar um conflito, que o filósofo Ortega y Gasset, define entre "mundo e irrealdade". Vejam aqui uma citação do filósofo espanhol: 
Ortega Y Gasset 
o quadro tem algo da janela, assim como a janela tem muito do quadro. As telas pintadas são buracos de idealidade praticados na muda realidade das paredes: brechas de improbabilidade em que nos debruçamos através da benéfica janela representada pela moldura [...] O quadro é uma abertura de irrealidade que magicamente ocorre em nosso mundo real. Quando olho para este parede doméstica cinzenta, minha atitude é necessariamente um utilitarismo vital. Quando olho para a foto, entro em um âmbito imaginário e adoto uma atitude de pura contemplação. São, portanto, parede e quadro, dois mundos antagônicos e sem comunicação. Do real ao irreal, o espírito dá um salto, como entre vigília e sono. A obra de arte é uma ilha flutuante imaginária, cercada pela realidade por todos os lados. [Ortega e Gasset 1997, p.225 sub. meu]

[la cornice ha qualcosa della finestra, così come la finestra ha molto della cornice. Le tele dipinte sono buchi di idealità praticati nella muta realtà delle pareti : brecce di inverosimiglianza a cui ci affacciamo attraverso la finestra benefica della cornice [...] il quadro è un'apertura di irrealtà che avviene magicamente nel nostro ambito reale. Quando guardo questa grigia parete domestica, la mia attitudine è, per forza, di un utilitarismo vitale. Quando guardo il quadro, entro in un recinto immaginario e adotto un'attitudine di pura contemplazione. Sono, dunque, parete e quadro, due mondi antagonistici e senza comunicazione. Dal reale all'irreale, lo spirito fa un salto, come dalla veglia al sonno. L'opera d'arte è un'isola immaginaria che fluttua, circondata dalla realtà da ogni parte. [J. Ortega y Gasset, "Meditazioni sulla cornice", in I percorsi delle forme. I testi e le teorie, a c. di M. Mazzocut-Mis, Bruno Mondadori, Milano 1997. 1997, p.225, apud La cornice e il problema dei margini della rappresentazione. Antonio Somaini http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/leparole/duemila/ascorn.htm ]

Veja a imagem na capa do livro de Derrida. A confusão entre representação do pé e o sapato, que cobre o pé....

A problemática é um pouco estranha: pois podemos afirmar que sem moldura, sem uma escolha prévioa do espaço e do tempo, sem uma forma de interpretação desse espaço, NÃO CONSEGUIMOS LER ABSOLUTAMENTE NADA. Parece um exagero, mas olhem para a narrativa de Walter Benjamin, sobre o faraó egípcio Psammenit: se narrarmos o conto assim: "Um pai, que era um nobre aos seus tempos, olha o filho ser levado para ser morto e a filha acorrentada. E não pronuncia um punico lamento. Mas quando vê seu escravo e amigo preso, prorromepe em soluçõs". Não é uma história que faz muito sentido, sem saber 1. que foi Tucídides, historiador grego, que a narrou inicialmente. Que o filósofo Montaigne deu grande importância a essa narrativa. Que o escritor alemão Benjamin teceu suas considerações, tomando essa narrativa como paradigma do que é literatura.  Tudo isso tem a função que a moldura tem no quadro. Ela define um espaço, endereça o olhar do espectador/ leiutor. Melhor ainda: ela força essa sua omada de consciência, ela (a moldura) dirige seu olhar, prende sua atenção. 




sábado, 28 de março de 2020

Moldura, Visão, perspectiva

Tavoletta  de Brunelleschi 


Olhando para a natureza, a sensação é de estar “dentro do quadro”, “dentro desse mundo” e, portanto, mais do que um recorte, costumamos apontar para um determinado objeto (um elemento da natureza, um animal, um aspecto relevante ou curioso ou chocante). Raramente pensamos que olhando, o recorte se torna uma moldura, pois o objeto do que estamos falando ou estamos apontando, ele ganha relevo, ele ganha importância. Um escritor que refletiu sobre essa questão é Italo Calvino, em Palomar (um conjunto de artigos e ensaios, reunidos e que – o título o sublinha – têm o tema da visão.  Luigi Pirandello (escritor italiano do começo do séc XX), emnuma curta novela “La tragédia di um personaggio”  aponta para uma  teoria da luneta ao contrário, um exemplo do paradoxo que pode levar à loucura (ou pode levar o protagonista a ser considerado louco).
Independentemente de “como” nosso olho “vê” (sabemos que ele percebe as coisas “ao contrário”), a teoria da visão, a questão da moldura e a questão da pers A luneta foi inventada na Renascença ( e Galileu a aprimorou a usa)
pectiva se confundem.



Um exemplo interessante, e praticamente uma antecipação da fotografia (e de muitas outras coisas), é a teoria do arquiteto florentino Filippo Brunelleschi.  Era cerca de 1420, quando ele foi encarregado de construir uma cúpula, na Catedral de Florença, Santa Maria em Fiore.
Brunelleschi era  louco ou muitos achavam que ele o fosse!  Essa cúpula gigantesca (ao todo 116 metros de altura, que continua hoje ainda uma dais mais altas do mundo, apesar da evolução da tecnologia) foi construída SEM ANDÁIMES, o que é simplesmente uma verdadeira loucura! OU melhor, como dá para ver na reconstruição da imagem aqui em baixo, há uma estrutura interna, em madeira, que dá o suporte á cúpula. Na imagem de cima dá para enxergar a presença de uma DUPLA cúpula: uma externa, visível, e uma interna que rege todo o peso (e finalmente uma terceira cúpula, interna, que o espectador enxerga de dentro da Igreja).












Finalmente, alguns dados (não se consegue fugir da enumeração de alguns deles!:




sobre essa cúpula há rios de estudos, documentos, imagens.
Altura total: 116,50 m
Altura 55 da base
Altura da “lanterna”: 21 m
Altura do tamburo : 13 m (ou seja, o suporte da base octogonal)
Peso da estrutura: 37 mil toneladas (!)
Foram usados 4 milhões de tijolos
(vejam esse pequeno documentário da National Geogrpahic ou procurem achar links interessantes). https://www.youtube.com/watch?v=6ecKKg1Rn1w&t=6s

Mas, Brunelleschi é considerado também o inventor da PERSPECTIVA, ou seja: uma forma de “ver” de forma “científica”.
 



  
Existe uma forte ligação entre a “visão”, a introdução (mais do que invenção) da perspectiva e a fotografia (do séc. XIX). A questão central, a meu ver, é a adoção de uma visão CIENTÍFICA  (ou chamada tal), pela qual o mundo passava a ser redresentado de forma homogênea e passamos a acreditar que haveria uma forma de representar o mundo “assim como ele efetivamente é”, uma antecipação da visão positivista.
|Dante, na Comédia, fala de Giotto, como um grande pintor ( Pg XI 94-96)
Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura.
E, no Decameron de Boccaccio, Giotto é ainda mais exaltado:
“fu Giotto, ebbe uno ingegno di tanta eccellenza, che niuna cosa dá la natura, madre di tutte le cose ed operatrice col continuo girar de’ cieli, che egli con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse sí simile a quella, che non simile, anzi piú tosto dessa paresse

[ Giotto tinha uma engenho de tal excelência, que de nenhuma coisa vinda da natureza, mãe de todas as coisas e  realizadora [de tudo/] com o contínuo girar  dos céus, que ele [Giotto] com estilo / com o estilete e com a caneta ou pincel não pintou a ela semelhante, que não parecia somente , mas de fato  [propriamente ] ela mesmo parecia [o objeto representado em pintura]

quinta-feira, 26 de março de 2020



 MOLDURA/ PARERGON  26/03/2020
(esse texto foi  somente esboçado!) 

Bom dia !

Antes de mais nada: um recado


estou escrevendo e gravando materiais que podem ser do interesse do leitor aqui (ilusão !).

Anexo material que colocamos a disposição dos alunos de literatura italiana I e II da UFRJ, nesses dias da emergência. 
Estamos trabalhando e Heglan Moura e Esther da Silva Martins estão colaborando, em condições adversas (a internet é sempre um problema). 
Aqui vai: 

1. Vídeo em ITALIANO (no estúdio improvisado colocado a disposição do Heglan)  https://www.youtube.com/watch?v=3z4W2ZHwbTA&t=12s
3. Vídeo em italiano, gravado em casa, com a juda para difusão do Heglan e da Esther 


Passamos depois a colocar a disposição um texto escrito (pois as aulas foranm suspensas e continuamos somente com um contato, envio de material ee observações deles) 
4. Literatura e História http://eticadaleitura.blogspot.com/  (23 de março) 
5. Decameron e Coronavirus  http://eticadaleitura.blogspot.com/2020/03/letteratura-italiana-i-e-ii-ufrj-alcune.html  (dia 22 de março). Esté último sobre a descrição da peste no Decameron e o coronavirus ! 

A MOLDURA/ PARERGON 
(esse texto não está terminado) 
G|ostaria de estabelecer um paralelo entre a moldura (de um quadro, de uma imagem, de um conto ou um conjunto de contos) e a questão da perspectiva, do ponto de vista do leitor. No Decameron, como vimos, e como iremos ver mais, há várias  MOLDURAS: o protagonista-autor conta sua própria história e ele descreve a peste. Depois: ele apresenta os 10 jovens que, por sua vez, irão apresentar algumas novelas e, entre uma e outra, são os protagonistas de algumas micro-narrativas. Finalmente, haverá uma mulher-protagonista (Madama Oretta), que EXATAMENTE NA NOVELA DO MEIO DA COLETÂNEA INTEIRA, apresenta uma narrativa, que é mais uma consideração sobre a arte de narrar histórias, do que uma novela. 
A imagem que apresento aqui é (também!) enigmática. Apresenta, evidentemente, um céu vagamente roseado, provavelmente na hora do por do sol. as bordas são pouco definidas, há uma tendência rumo ao cinza e um céu, que devia estar solidamente azul, mostra alguma sobra.

Nessa segunda imagem, temos também, com cores menos fortes, mas cuja escala vai do branco -sujo até o cinza mais carregado.
Se, como leitores, dissermos que o de cima é produto de uma intervenção artística, seria bastante confiável. Mas. de fato, é o detalhe abaixo ( pintor Frances Clauded Joseph Vernet, 1714-1789). E se acrescentar que o fotógrafo do detalhe acima é o extensor desse blogue (que em geral é um péssimo foógrafo!), não vai ser difícil de acreditar.
Aqui em baixo, reportop os originais, sem cortes:


O contexto de um detalhe, o contecxto de uma imagem está relacionado a uma MOLDURA, um tema que o filósofo francês Jacques Derrida retomou a partir da palvra grega PARERGON (par / ergon = o que está de lado de uma obra, de uma energia ou criação). A palavra Parergon indica algo que está ao lado do tema principal, subordenado. Em princípio indica uma moldura. 

Como se sabe, a relação entre pintura e escrita, entre imagem e tetxto vai muito além de uma duplicidade da representação. Existe uma tensão entre as duas formas e esse tema (pintura/ literatura) não somente integra uma tradição importante em nossa cultura, chamada "Ut pictura poesis" (de uma frase do escritor latino Horácio: "Assim como a pintura a poesia"). Paradoxalmente, essa relação é sempre vista como emscla, colaboração, comparticipação entre pintura e poesia. Na verdade, seria melhor pensar num conflito, numa contraposição. Pois o ponto de vista, a "perspectiva" de onde vemos um determinado objeto, estabelece também sua "leitura" e pode modificá-lo bastante. 








segunda-feira, 23 de março de 2020

A relação entre a história e a literatura


Uma forma de ver 
a relação entre história e literatura 23-03-2020
desculpem, escrevi esse texto uma primeira vez e....  o perdi completamente. Esta é uma segunda versão Mas há uma série de erros que ainda vou corrigir !

madaeli26:
“ *** by ~MilaKucher
”
https://exquizero7.tumblr.com/post/28474433183/nyarlotep

Uma imagen deslumbrante. Uma criança tenta olhar numa moldura  e... provavelmente não enxerga aquilo que nós vemos:  sua imagem se repete, se repete, se repete até o infinito.


O tema de uma possível relação entre Decameron e o Coronavirus pode aparecer estranho e indevido: Boccaccio não vive hoje: escreveu há quase 800 anos. Certamente não pode ter aludido ao Coronavirus (ele descreveu a peste de 1348). Mas ele indica algo significativo que se repete ate hoje
1. O motivo da peste pode estar relacionado ao destino, aos astros, é algo que não pode ser dominado pelo homem. O autor trecentista avalia que não seja algo relaciomnado com uma punição divina. 
2. O contágio não acontece somente por conto de motivos físicos diretos (apertar as mãos), dar abraços: ele passa pelo ar, pela  simples aproximação de reu8niões ou “conversações” 
3. Havia aos tempos de Boccaccio travessuras e espertesas, que  correspondem à nossas fake News, pois o autor se queija de falsos médicos, curandeiros, charlatães:  Elementos, que paradoxalmente,  encontramos ainda hoje.
A diferênça entre o texto de Boccaccio e uma qualquer reportagem jornalística de hoje é que o Decameron é um texto literário
Precisamos, então, investigar em que consiste a diferença entre história (ou comunicação, informação) e história?

Vale a pena retomar  o breve texto de Walter Benjamin, intitulado “O Narrador”. Muitos já ouviram falar desse texto e de Benjamin  ou já o leu. )(na verdade, deveria ser numa tradução mais correta: “O contador”, como o contador de histórias... (pode encontrar o texto traduzido aqui: https://cadernodematerias.files.wordpress.com/2012/03/o-narrador-walter-benjamin.pdf). No final desse curo e significativo texto, há uma pequena narrativa:

O primeiro narrador grego foi Heródoto. No capítulo XIV do terceiro livro de suas Histórias encontramos um relato muito instrutivo. Seu tema é Psammenit. Quando o rei egípcio Psammenit foi derrotado e reduzido ao cativeiro pelo rei persa Cambises, este resolveu humilhar seu cativo. Deu ordens para que Psammenit fosse posto na rua em que passaria o cortejo triunfal dos persas. Organizou esse cortejo de modo que o prisioneiro pudesse ver sua filha degradada à condição de criada, indo ao poço com um jarro, para buscar água. Enquanto todos os egípcios se lamentavam com esse espetáculo, Psammenit ficou silencioso e imóvel, com os olhos no chão; e, quando logo em seguida viu seu filho, caminhando no cortejo para ser executado, continuou imóvel. Mas, quando viu um dos seus servidores, um velho miserável, na fila dos cativos, golpeou a ca- [fim da p. 203] beça com os punhos e mostrou os sinais do mais profundo desespero.

Benjamin retoma essa narrativa de Tucídides, considerado "o pai da história" grega, que viveu no V séc  antes de C., e  que descreveu as guerras dos gregos contra os que consideravam bárbaros. E benjamin ressalta a enorme diferença que passa entre uma leitura literária e uma histórica. Para Benjamin, o texto de Tucídides é já uma narrativa, ou seja, deve ser considerado um texto literário. É Benjamin, como leitor, que opta para considerar esse texto como um texto narrativo, literário e não simplesmente histórico. 
E esta é a primeira prerrogativa da leitura literária: cada texto pode ser lido do ponto de vista literário  e não somente do gênero que ele apresenta (histórico, jornalístico, autobiográfico, etc). O que significa isto? Benjamin descreve um acontecimento de enorme significado, na história egípcia: Psammenit foi o último faraó egípcio, ele terminou uma dinastia de mais de cinco mil anos de faraós. Esse episódio descreve o ocaso de um grande império da antiguidade. De uma tradição cultural que produziu um enorme conhecimento (matemática, astronomia, astrologia, estudo das águas). Para dar a exata dimensão desse momento, lembramos que o império romano - o grande império da antiguidade - durou somente cerca de sete/ oito séculos!, do 3. séc. a. C até o 5. séc depois. Portanto, trata-se de um momento decisivo na história. um ponto de ruptura, um elemento extremamente significativp, quie traz sua aura e influencia nossa vusão. O que Benjamin ressalta que há um enigma nessa curtíssima: 
Por que Psammenit não reage à escravização da filha  e ao assassinato do filho? E por que ele desaba finalmente em prantos, somente quando reconhece um servidor  fiel acorrentado?
Por traz desta breve narrativa há um enigma e uma interrogação. Benjamin levará essa problemática a sério, ele fica obcecado com a pergunta e por alguns anos levará a pergunta sobre o comportamento de Psammenit a escritores e filósofos conhecidos.

Risultato immagini per Psammetico erodoto image
(aqui um busto de Psammenit, conservado) . Achavamos que ele fosse um faraó vekho, antigo, sábio e encontramos um jovem que sorri. Provavelmente, ele não sabe ainda o final da historia.) 

Em anotações sobre esse tema de Psammenit Benjamin, posteriormente, acrescenta as opiniões de vários autores, filósofos, historiadores, escritores e críticos de sua época: o próprio o filósofo francês Montaigne, que insipra sua reflexão, Asia Lacis, uma amiga russa e outros nomes. O mais interessante é o nome de Stefan, seu próprio filho, que devia ser ainda adolescente [1]. Benjamin anota: 

“A História de Psammenit e suas explicações
1.     Montaigne: o barril chega a transbordar com a última gota
2.     (Franz) Hessel e eu: o rei não é afetado pelo destino dos reais. Pois esse é seu mesmo destino
3.     Asia (Lacis): nós somos afetados no palco por muito que  não nós afeta na vida. O servente (Trossknecht)  não é que um ator para o rei.
4.     Eu:  a dor não chega nunca onde pertence; é uma tampa, um chapéu que não cabe nunca.
5.     [Wilhelm] Speyer: [falta a explicação]
6.     Stefan (Benjamin): pois o soldado é ajoso [palavra da língua das crianças?] [explicação: corajoso]
Para esclarecer Montaigne: ele o explica genialmente e de forma natural e independente. Segundo sua explicação o filho poderia também chegar por último. Não presta a mínima atenção ao ponto.
7.     Dora (Benjamin) (na verdade André Gide)[:] pertence”

A lista de respostas ao enigma da narrativa parece mais uma enumeração paradoxal de Borges (lembre-se das listas do Pierre Menard) do que uma análise literária. Benjamin mistura filósofos, parentes próximos, seu próprio filho Stefan, junto à Montaigne, morto há séculos e sua própria opinião (a n. 2, 3 e 4); aparece a opinião de Asia Lacis, uma sua grande paixão dos anos vinte, Franz Hessel, seu amigo e tradutor. Alguns dos interlocutores são mortos (Montaigne), outros vivem e alguns pertencem à esfera familiar: Dora, Asia Lacis e finalmente Stefan Benjamin. Ao Stefan, Benjamin atribue uma boa capacidade de análise. Psammenit é, para Stefan, corajoso, o que precisava ser dito e ninguém disse!  Levando em conta que O Narrador foi presumívelmente redigido entre 1928 e 1935[2] e que o filho Stefan nasceu em 1918,   e seguindo o indício da língua de criança que atribui ao Stefan , é provável que este esteja com 10 anos ou menos.
O que interessa, aqui, é a ruptura entre planos, o acréscimo de leituras, de interpretações. A curta narrativa se presta a múltiplas interpretações. 
Benjamin conclui o parágrafo assim:

Heródoto não explica nada. Seu relato é dos mais secos. Por isso, essa história do antigo Egito ainda é capaz, depois de milênios, de suscitar espanto e reflexão. Ela se assemelha a essas sementes de trigo que durante milhares de anos ficaram fechadas hermeticamente nas câmaras das pirâmides e que conservam até hoje suas forças germinativas.

O texto, na opinião de Benjamin, é enigmático, contém um segredo, e isso faz com que ele germine, produza mais sentidos, mais camadas, alimente discussões. Um texto literário (e assim Benjamin interpreta o texto de Tucídides), mesmo tão curto, em sua laconicidade, impõe ao leitor um esforço interpretativo. Essa leitura de camadas, produz uma aura do texto, que cresce e mantém o interesse do leitor (neste caso, nos séculos). A literatura o explica, ela narra e cria imagens e associa personagens, falas e temas, que ao final faze dela seu estilo.
Segundo Dante Alighieri, o autor da Divina Comédia, há quatro camadas que podem ser lidas em cada texto literário: uma literal (ou seja: nada mais do que o enunciado apresenta. Por ex.: Psammenit é insensível ou louco). Uma segunda é metafórica (o comportamento de Psammenit é corajoso, como diz Stefan o filho de Bejamin). A terceira é alegórica: falando de Psammenit, na verdade, quem sabe, Tucídides fala da fragilidade do sistema político grego (frente aos persas ou quiçá, aos romanos). O quarto é anagógico, ou seja transcendente. 
Na época dos gregos, essa última camada - a anagogia - não faria sentido. Ela corresponde a uma adquisição da tradição judaico-cristã. Dando uma olhada no dicionário(http://www.treccani.it/enciclopedia/anagogia_%28Dizionario-di-filosofia%29/),
aprendemos que anagogia (ascensão, elevação), já era um termo usado por Aristóteles), mas na tradição judaico-cristã ela equivale a um movimento transcendente, algo que supera o humano e se dentifica e alcança o divino. Uma visãoi mística   Podemos dizer que o caráter enigmático que Benjamin reconhece nesta narrativa é algo novo e produtivo. Pois este olhar=, essa perspectiva leva à incerteza a leitura plana, tradicional. Essa nova pesrpectiva faz com que a gente duvide da leitura tradicional. E a palavra enigma (vejam no dicionário etimológico étimo.it) está ligada à sua origem, que é FALAR. Portanto, o enigma é FALAR DE FORMA OBSCURA.
Um texto literário nunca está sozinho. Ele sempre se liga a um texto anterior (intertextualidade) e é produtor de textos que vêm depois dele (novamente intertextualidade).