segunda-feira, 9 de março de 2020

Una definizione di Rinascimento. Eugenio Garin

Eugenio Garin. Interpretazini del Rinascimento pp. 113-118 2008

[da discutere: datazione: Rinascimento o Rinascimenti? , "barbari", storia delle idee, sconfitta nel 1492]

Indice Copertina 2 Frontespizio 6 Colophon 7 exlibris 3 Michele Ciliberto, Una meditazione sulla condizione umana 8 Nota editoriale 48 La dignitas hominis e la letteratura patristica 50 Aristotelismo e platonismo del Rinascimento 78 Recenti interpretazioni di Marsilio Ficino 97 Il Rinascimento italiano 113 Umanesimo e pensiero medioevale 119 I filosofi italiani del Quattrocento 135 Su Giordano Bruno 185 Pietro Pomponazzi e l’aristotelismo del Cinquecento 191 I trattati morali di Coluccio Salutati 210 Appendice 227 Umanesimo e vita civile 234 Appendice 248

IL RINASCIMENTO ITALIANO La determinazione dei caratteri di quel periodo di importanza universale che è il Rinascimento, per quanto sì spesso tentata, è ben lungi dall’essere oggetto di pacifico accordo. Ché già il nome con cui si designa, mentre per gli uni significa un puro ritorno, per gli altri giustamente indica un nascere nuovo, un creare. D’altra parte, ha nuociuto non poco alla comprensione del significato di quell’epoca la violenta contrapposizione al Medioevo, quasi luce di fronte alla tenebra, quasi un risorgere dopo un periodo d’ombra e di stasi, in cui dominavano i ‘barbari’ ed ogni vita spirituale taceva. In realtà, quel rifiorire dell’arte e del pensiero; quel rigoglioso sviluppo di ogni attività dello spirito; quella concezione del vivere tutta incentrata nel concetto di umanità intesa come libertà, pensosa dell’interiorità ove l’uomo celebra veramente se stesso; quella brama ansiosa di una vita piena e santa nella sua libera esplicazione; questi motivi tipici dell’età del Rinascimento, non sorsero d’un tratto, slegati del tutto dalle epoche precedenti. La pretesa di trasformare la Rinascita in un improvviso bagliore di luce è servita solo a suscitare la giusta reazione di chi è andato studiosamente rintracciando i precedenti di essa nei secoli anteriori.E, tuttavia, né il movimento umanistico del secolo dodicesimo, né il risveglio culturale del tredicesimo secolo, né l’introduzione della scienza araba e l’influsso dell’aristotelismo, né i rinnovati contatti con l’Oriente o l’incremento delle città o lo sviluppo dei centri universitari, hanno ancora i caratteri di quella visione della vita che si affermerà e si diffonderà in Italia fra il ’400 e il ’500. Il che non importa svalutazione alcuna di quei fenomeni, pur grandissimi e importantissimi, ché grandi furono i pensatori del secolo dodicesimo, mirabile la figura di Abelardo, squisitamente ‘moderno’ nella sua forte passionalità il romanzo di Eloisa, potente l’arte gotica, altissima la civiltà comunale, sublime la poesia di Dante, arditissimo di acume critico l’averroismo latino, profonda la scienza dei fisici parigini e degna anticipatrice di Leonardo da Vinci. Eppure tutto questo non era ancora né il ’400 né il ’500, in cui pur ritroviamo, quasi potenziati e in sintesi, quei brividi di novità che sentiamo già affiorare in tutti quei movimenti. Ché il Rinascimento non è neppure, come qualcuno ha preteso, l’antitesi e la reazione contro quegli ardimenti e quelle conquiste; un moto, cioè, puramente letterario e nazionale, anzi romano, vagheggiante il mito della Roma imperiale. Ché anzi, coi nostri occhi fatti esperti dagli avvenimenti, noi non possiamo fare a meno di trovare, in quei precorrimenti, quasi i germi e i nascosti presentimenti della civiltà che ne nacque. E in Abelardo scorgiamo il nascere dello spirito critico, in Eloisa la tormentata interiorità, in Federigo II il ‘tiranno’, in Dante l’involontario esaltatore dell’umana grandezza. Poiché nulla, veramente, è più strano che considerare il Quattrocento una parentesi reazionaria fra il ’300 e l’età moderna, quasi avulsa dalla storia; visione spiegabile solo come reazione particolarmente vivace all’infelice concezione di un Rinascimento pagano, tutto empio e razionalistico e immorale o amorale, patria ideale di superuomini postisi al di là del bene e del male. Tuttavia anche quei germi e quei precorrimenti, lungi dal costituire già una Rinascita o più Rinascite, traggono il loro significato da quell’unico Rinascimento che li sintetizzò rivivendoli. In realtà, i moti di un risorgimento spirituale, che si susseguono dal secolo dodicesimo in poi, sono i segni di un rivolgimento profondo, che si viene operando in tutte le strutture del mondo medioevale; sono quasi i sintomi della gestazione di una civiltà, che nel mondo occidentale viene liberandosi lentamente dall’ondata barbarica. Ed i motivi di tale rivolgimento sono effettivamente, almeno in parte, quelli stessi che, potenziati, ritroviamo nel ’400. Diversa resta, tuttavia, la nota con cui si presentano. E valga un solo richiamo a quel moto del dodicesimo secolo a cui, quasi al vero Rinascimento, si sono con vivezza particolare rivolti alcuni storici recenti, ed intorno a cui la disputa si è svolta particolarmente ampia, anche per il contrasto di orgoglio nazionale, per essere stato quel movimento soprattutto rigoglioso in Francia. Innegabilmente notevole fu la cultura di Chartres, e animatrice e suscitatrice di studi classici e di interessi filologici e letterari, non senza messe di eleganti versi latini, di celebrazioni dell’uomo e di spunti platonici, simili a quelli che ritroveremo tanto diffusi nei circoli dotti della Firenze medicea. Però, a parte il fatto che là si tratta solo di spunti, nel primo caso ci troviamo di fronte a un fenomeno limitato ad ambienti ristrettissimi senza vaste risonanze, mentre nell’altro caso si tratta di un movimento culturale diffusissimo, che non solo non matura e non termina nell’ambito di scuole, conventi o università, ma vive e si afferma al di fuori della cerchia di iniziati, permea ogni attività, penetra nella politica, ascende ai troni principeschi e alla cattedra di Pietro, discende nelle piazze tra i poeti popolari e le feste e le processioni simboliche, ispira gli artisti, segna le linee architettoniche dei nuovi palazzi e dei templi rinnovati. Precedenti, dunque, ma non ancora Rinascimento; e giova ripeterlo, sia a chi fissandosi a quelli fraintende questo, sia a chi pretende fare del moto di rinnovamento un mostro, mirabile solo per esser nato da genitori ignoti e essersi spento senza procreare figli vitali, eccezion fatta per lo spirito reazionario della Controriforma. E veramente precorrono al fiorire del Rinascimento tutti quei moti che tendono ad affermare il senso e il valore dello spirito umano, la sua dignità e la sua libertà. Tutte le volte che, nel ricordo dei classici, lo spirito critico accenna a rompere una barriera, ad affermare i diritti dello spirito, a esaltare le sue creazioni, a celebrare la santità della vita, ivi è un brivido della Rinascita. Rinascita che, appunto per essere stata il trionfo dell’umana spiritualità, tende di continuo, come la civiltà greca, a trasfigurarsi da particolare fatto storico a momento eterno, giustificando così, in qualche modo, i vagheggiamenti delle molte Rinascite ricorrenti. Tanto più che essa, di fronte all’ideale greco, cui pure tanto sembra avvicinarsi, si arricchiva di tutta la pienezza dell’esperienza cristiana. Ché il Rinascimento ebbe vivissimo il senso religioso, sì che si preclude la via ad intenderlo chi voglia prescindere da quell’ispirazione che non solo lo permeò, ma che talora lo trasformò in una profondissima fede. Il preteso paganismo, di cui sì spesso e sì a torto si è discorso, o si limitò a qualche sporadica manifestazione letteraria, o si ridusse a quella valorizzazione della vita, a quell’esaltazione dell’attività umana di contro alle tendenze ascetiche, che non è per niente piuttosto pagana che cristiana. Ché nel mondo antico non mancò l’ascesi, e frequenti e violente sono le critiche umanistiche allo stoicismo; né è in contrasto col cristianesimo, tutto ardente di fuoco di carità, l’affermazione della santità della vita e del lavoro. E quegli stessi brividi d’eresia, quella brama di una fede pura e interiorizzata, quella polemica contro la corruzione chiesastica, lungi dallo scaturire da indifferenza ‘paganeggiante’, svelano un interesse religioso pieno d’ansia. Il che peraltro non significa affatto spirito di reazione e di rigida ortodossia e anticipazione degli atteggiamenti tridentini. Se è lecito, anzi necessario, parlare di religione profonda e di cristianesimo, non è lecito intendere con ciò il cattolicismo controriformatore, né valga appellarsi al costante innegabile amore per il cristianesimo primitivo, per il pensiero dei primi secoli, per i Padri della Chiesa; ciò non significava affatto una più rigida aderenza alla tradizione o un ritorno puro e semplice al passato. Aveva, anzi, un valore polemico, che a Tertulliano e ad Origene, e, magari, a san Girolamo e a sant’Agostino, non si tornava certo in ossequio ad una stretta conformità ai dettami della Chiesa ufficiale. Rinnovamento, perciò, anche religioso, per una più intima e sentita religione dello spirito, che assume il tono ispirato di una raggiunta pienezza dei tempi. Il quale rigenerarsi, come quello che affermava un’umanità ricca e pienamente svolta, trovò nel mondo classico quasi un modello ideale. Di qui appunto quel rivolgersi quasi affannoso verso l’antico, che impronta gli inizi del Rinascimento e permane poi per tutto il periodo. Ritorno, che, per essere non poco appariscente, ha indotto alcuni a cogliervi l’essenza stessa dell’epoca, che consisterebbe, appunto, in un risorgere dell’antico, elemento determinante e dominante in ogni manifestazione. Nel che i critici sono spesso stati tratti in errore dagli atteggiamenti medesimi, assunti non di rado da figure di primo piano, che volutamente ricalcarono nelle stesse consuetudini di vita i modelli greco-romani, come quando il Magnifico Lorenzo pensava a Pisistrato e Ficino ingenuamente cercava di apparire un redivivo Platone fin nelle debolezze e nelle caratteristiche della persona. Ma ciò non vuol dire, evidentemente, che la signoria di Cosimo sia sorta per l’imitazione di Pericle o che il pensiero di Ficino sia una mera imitazione di Platone. L’antico riscoperto, perché ad esso riconducevano affinità spirituali e analogie di stati d’animo, rifluiva plasmando di sé l’epoca, ma in un rinascere, in una rigenerazione che era nuova creazione. Gli imitatori pedestri, e vi furono, rimasero rami secchi nella pianta rigogliosa. Tuttavia, proprio per il particolare entusiasmo con cui si andò alla ricerca dell’antico, l’aspetto più appariscente dell’epoca fu questo risorgere del mondo classico e la sua efficace influenza nell’età nuova. E, certo, il Rinascimento fu, innanzitutto, un grande movimento culturale che riplasmò gli spiriti senza esaurirsi in un fatto letterario o grammaticale. Se, infatti, gli umanisti ci parlano molto di libri, di biblioteche, di testi e di vocaboli, le lettere umane sono esaltate, non per sé, ma perché formatrici nell’uomo della sua umanità più degna. Né la filologia, che a un certo momento par quasi assumere una posizione dominante, è indagine erudita e scolastica; essa è la chiave che apre il mondo dello spirito, che attraverso l’esatta valutazione dell’espressione farà conquistare il pensiero. Le sottili questioni medioevali avevano scavato un abisso fra la parola e la cosa; discussioni ed indagini si erano venute esasperando intorno a pure finzioni verbali, a entità staccate dalla realtà originaria. Si trattava di ricongiungere lo spirito e la lettera, in un logos concreto che fosse ancora, come nel suo senso originario, pensiero e parola. Valla, appunto, il filologo Valla, rinnova la dialettica, la critica storica ed affronta le questioni giuridiche nelle loro sistemazioni tradizionali; la sua filologia si svolge «sulla base del diritto e della teologia: che impegnano i valori fondamentali della vita degli uomini, i rapporti fra uomo e uomo e i rapporti fra uomo e Dio» 1 . In questo senso tutto l’inizio del Rinascimento è filologico, ché gli studi umanistici, attraverso le lettere umane, vogliono riconquistare l’umanità, la spiritualità umana di cui esse sono espressione. Ché se, come purtroppo avvenne, quella riconquista tutta culturale, non solo produsse la piaga del ‘letterato’, ma anche generò un’evasione alla vita mondana in una repubblica ideale ove la libertà dello spirito era sì incontrastata, ma monca e sterile e, come è stato detto, tutta fantastica; ché se l’Umanesimo fu ricco di caratteri miseri e di volontà fiacche, è pur vero che quella riscoperta umanità fu proposta come un ideale luminoso concretato in insuperabili opere d’arte, in conquiste eterne di pensiero, destinate a educare e a conquistare in profondità il mondo moderno. Il Rinascimento, nato con Cola e Petrarca come movimento di riscossa nazionale, lotta contro i ‘barbari’, culturale insieme e politica, raggiunse così ben presto un significato universale, che venne svincolandolo dalle sue radici italiane per farne una meta eterna alla civiltà europea, anzi mondiale, dopo che la nuova visione del senso della vita e dell’uomo ebbe conquistato nuove terre e nuove vie. Contrasto doloroso fra ideale e reale, di cui furono vittime consapevoli quegli arditissimi indagatori e costruttori di realtà imperiture, che videro mal corrispondere alla loro ‘virtù’ le vicende di quella ‘fortuna’, che pur asserivano non poter piegare mai l’uomo forte. Tornano alla memoria le osservazioni del Castiglione che a fare perfetto il cortegiano accanto alle armi poneva le lettere: Ma chi non sente la dolcezza delle lettere, saper ancor non può quanta sia la grandezza della gloria, così lungamente da esse conservata, e solamente quella misura con la età d’un uomo, o di due, perché di più oltre non tien memoria; però questa breve tanto estimar non può, quanto faria quella quasi perpetua, se per sua disgrazia non gli fosse vietato il conoscerla; e non estimandola tanto, ragionevol cosa è ancor credere, che tanto non si metta a pericolo per conseguirla, come chi la conosce. Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse gli effetti contrari per rifiutar la mia opinione, allegandomi gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco valor nell’arme da un tempo in qua; il che purtroppo e più che vero […]. Però meglio è passar con silenzio quello che senza dolor ricordar non si può. Aspro dramma, non diverso da quello dei politici che vagheggiando il libero stato ben ordinato non sapevano poi rivelarne la concreta realizzabilità. Ché, certo, fu opera del rinnovato pensiero quell’ultimo crollo dato ai sogni imperiali e alle pretese pontificie, quella critica recata fino in fondo a vecchie istituzioni e privilegi, quell’idea di una vera nobiltà nata non dal sangue, ma dalla ‘virtù’, dall’operosa conquista dell’uomo che fa sé a se stesso. E fu ancora suo merito quell’esaltazione dell’umanità come libertà, quella rivendicata concretezza e mondanità necessaria alla vita terrena. Solo che, nella pratica, nacque il ‘tiranno’, la cui ‘virtù’ non trovò un limite, ché quella libertà non era ancor intesa come legge, né lo poteva, quando quel ‘principe’ per affermarsi, per creare uno Stato che fosse tale, per spezzare opposizioni e contrasti, aveva sì spesso dovuto ricorrere all’arbitrio. E lo Stato nuovo fu sì mondano e terreno, libero da impacci e legami morenti, spogliato di privilegi, ma fu opera personale del ‘tiranno’ che non si sentì, nel governare, espressione e strumento di una volontà universale, di una legge parlante con la sua bocca, santa e venerabile e freno alla sua volontà singola come a quella degli altri; ma volle essere, e fu, come l’artista che plasma a suo piacimento, senza un freno oltre quello dell’arte sua. Nacquero, come diceva Machiavelli, i Cesari e non gli Scipioni; gli «scellerati», ricchi di «grandissima fortuna e virtù»; «le quali due cose pochi uomini accompagnano» 2 . Arte, è stato detto, anche la politica; o, almeno, attività premorale, libero giuoco di forze. In verità, la luce del Rinascimento è tutta in quel suo slancio verso un mondo di cultura, verso un regno spirituale, in cui l’uomo non sia lupo all’uomo, ma con lui collabori in verace creazione. Se ci si libererà, finalmente, dall’esaltazione dei ‘superuomini’ liberi da ogni freno, dalla figurazione dei pretesi ‘paganismi’, e si vedrà, quale fu, il Rinascimento, come «ritrovamento della natura sempre nuova e viva, dell’uomo intero che sa d’esser divino e non mera bestia», ci si avvierà a comprendere la sua perenne conquista spirituale di unità armonica, di valori spirituali e, insieme, si potranno spiegare certi lati, certe ombre di quell’età, senza volere incentrar proprio in queste i caratteri di tutto il movimento 3 . Che non fu né titanismo, né asprezza di lotte, ma sognò la pace umana, la concorde discordia degli spiriti creanti, il regnum hominis ove il bene diviso è maggiore dell’intero, «plus dimidium toto». Che, appunto perciò, fu raggiungimento di un ideale umano che i pensatori, gli artisti, i poeti d’Italia indicarono agli uomini e che gli uomini vanno ancora dolorosamente cercando: l’essenza ideale dell’uomo riposta in una bellezza che è bontà, in una conquista di Dio nella operosa pace dell’unità umana, in una conquista di sé nell’amore e nella dedizione a quelle viventi immagini di Dio che sono gli altri uomini. «Haec illa Pax quam facit Deus in excelsis suis, quam angeli in terram descendentes annunciarunt hominibus bonae voluntatis, ut per eam ipsi homines ascendentes in caelum angeli fierent. Hanc pacem amicis, hanc nostro optemus saeculo, optemus unicuique domui quam ingredimur, optemus animae nostrae» 4 . 1 D. Cantimori, Anabattismo e neoplatonismo nel secolo XVI in Italia, «Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. VI, XII (1936), p. 39 dell’estr. 2 N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 10. 3 Cfr. G. Papini, Pensieri sul Rinascimento, «La Rinascita», I (1938), p. 15. 4 Oratio de hominis dignitate, in G. Pico, Opera, Basileae 1572, f. 318; cfr. G. Manetti, Oratio de pace, in F. M. Sandeo, De Regibus Siciliae, Hanoviae 1611, pp. 179 sgg. Colgo qui l’occasione di ringraziare l’Ecc. G. Volpe, i cui suggerimenti mi furono spesso preziosi nella compilazione di questa raccolta. Nella quale per altro non saranno difficili a cogliersi lacune ed unilateralità, inevitabili in un tentativo di documentare un movimento spirituale così vasto e così strettamente legato a motivi letterari ed artistici. Ma non si è avuta di mira una qualunque compiutezza; si è voluto solamente offrire qualche riferimento, soprattutto per quello che fu il germinare del Rinascimento.

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