Eugenio Garin. Interpretazini del Rinascimento pp. 113-118 2008
[da discutere: datazione: Rinascimento o Rinascimenti? , "barbari", storia delle idee, sconfitta nel 1492]
Indice
Copertina 2
Frontespizio 6
Colophon 7
exlibris 3
Michele Ciliberto, Una meditazione sulla condizione umana 8
Nota editoriale 48
La dignitas hominis e la letteratura patristica 50
Aristotelismo e platonismo del Rinascimento 78
Recenti interpretazioni di Marsilio Ficino 97
Il Rinascimento italiano 113
Umanesimo e pensiero medioevale 119
I filosofi italiani del Quattrocento 135
Su Giordano Bruno 185
Pietro Pomponazzi e l’aristotelismo del Cinquecento 191
I trattati morali di Coluccio Salutati 210
Appendice 227
Umanesimo e vita civile 234
Appendice 248
IL RINASCIMENTO ITALIANO
La determinazione dei caratteri di quel periodo di importanza universale
che è il Rinascimento, per quanto sì spesso tentata, è ben lungi dall’essere
oggetto di pacifico accordo. Ché già il nome con cui si designa, mentre per gli
uni significa un puro ritorno, per gli altri giustamente indica un nascere
nuovo, un creare. D’altra parte, ha nuociuto non poco alla comprensione del
significato di quell’epoca la violenta contrapposizione al Medioevo, quasi luce
di fronte alla tenebra, quasi un risorgere dopo un periodo d’ombra e di stasi,
in cui dominavano i ‘barbari’ ed ogni vita spirituale taceva.
In realtà, quel rifiorire dell’arte e del pensiero; quel rigoglioso sviluppo di
ogni attività dello spirito; quella concezione del vivere tutta incentrata nel
concetto di umanità intesa come libertà, pensosa dell’interiorità ove l’uomo
celebra veramente se stesso; quella brama ansiosa di una vita piena e santa
nella sua libera esplicazione; questi motivi tipici dell’età del Rinascimento,
non sorsero d’un tratto, slegati del tutto dalle epoche precedenti. La pretesa
di trasformare la Rinascita in un improvviso bagliore di luce è servita solo a
suscitare la giusta reazione di chi è andato studiosamente rintracciando i
precedenti di essa nei secoli anteriori.E, tuttavia, né il movimento umanistico del secolo dodicesimo, né il
risveglio culturale del tredicesimo secolo, né l’introduzione della scienza
araba e l’influsso dell’aristotelismo, né i rinnovati contatti con l’Oriente o
l’incremento delle città o lo sviluppo dei centri universitari, hanno ancora i
caratteri di quella visione della vita che si affermerà e si diffonderà in Italia
fra il ’400 e il ’500. Il che non importa svalutazione alcuna di quei fenomeni,
pur grandissimi e importantissimi, ché grandi furono i pensatori del secolo
dodicesimo, mirabile la figura di Abelardo, squisitamente ‘moderno’ nella sua
forte passionalità il romanzo di Eloisa, potente l’arte gotica, altissima la civiltà
comunale, sublime la poesia di Dante, arditissimo di acume critico
l’averroismo latino, profonda la scienza dei fisici parigini e degna anticipatrice
di Leonardo da Vinci.
Eppure tutto questo non era ancora né il ’400 né il ’500, in cui pur
ritroviamo, quasi potenziati e in sintesi, quei brividi di novità che sentiamo
già affiorare in tutti quei movimenti. Ché il Rinascimento non è neppure,
come qualcuno ha preteso, l’antitesi e la reazione contro quegli ardimenti e
quelle conquiste; un moto, cioè, puramente letterario e nazionale, anzi
romano, vagheggiante il mito della Roma imperiale. Ché anzi, coi nostri occhi
fatti esperti dagli avvenimenti, noi non possiamo fare a meno di trovare, in
quei precorrimenti, quasi i germi e i nascosti presentimenti della civiltà che
ne nacque. E in Abelardo scorgiamo il nascere dello spirito critico, in Eloisa la
tormentata interiorità, in Federigo II il ‘tiranno’, in Dante l’involontario
esaltatore dell’umana grandezza. Poiché nulla, veramente, è più strano che
considerare il Quattrocento una parentesi reazionaria fra il ’300 e l’età
moderna, quasi avulsa dalla storia; visione spiegabile solo come reazione
particolarmente vivace all’infelice concezione di un Rinascimento pagano,
tutto empio e razionalistico e immorale o amorale, patria ideale di
superuomini postisi al di là del bene e del male. Tuttavia anche quei germi e
quei precorrimenti, lungi dal costituire già una Rinascita o più Rinascite,
traggono il loro significato da quell’unico Rinascimento che li sintetizzò
rivivendoli.
In realtà, i moti di un risorgimento spirituale, che si susseguono dal secolo
dodicesimo in poi, sono i segni di un rivolgimento profondo, che si viene
operando in tutte le strutture del mondo medioevale; sono quasi i sintomi
della gestazione di una civiltà, che nel mondo occidentale viene liberandosi
lentamente dall’ondata barbarica. Ed i motivi di tale rivolgimento sono
effettivamente, almeno in parte, quelli stessi che, potenziati, ritroviamo nel
’400. Diversa resta, tuttavia, la nota con cui si presentano. E valga un solo
richiamo a quel moto del dodicesimo secolo a cui, quasi al vero
Rinascimento, si sono con vivezza particolare rivolti alcuni storici recenti, ed
intorno a cui la disputa si è svolta particolarmente ampia, anche per il
contrasto di orgoglio nazionale, per essere stato quel movimento soprattutto
rigoglioso in Francia. Innegabilmente notevole fu la cultura di Chartres, e
animatrice e suscitatrice di studi classici e di interessi filologici e letterari, non
senza messe di eleganti versi latini, di celebrazioni dell’uomo e di spunti
platonici, simili a quelli che ritroveremo tanto diffusi nei circoli dotti della
Firenze medicea.
Però, a parte il fatto che là si tratta solo di spunti, nel primo caso ci
troviamo di fronte a un fenomeno limitato ad ambienti ristrettissimi senza
vaste risonanze, mentre nell’altro caso si tratta di un movimento culturale
diffusissimo, che non solo non matura e non termina nell’ambito di scuole,
conventi o università, ma vive e si afferma al di fuori della cerchia di iniziati,
permea ogni attività, penetra nella politica, ascende ai troni principeschi e alla
cattedra di Pietro, discende nelle piazze tra i poeti popolari e le feste e le
processioni simboliche, ispira gli artisti, segna le linee architettoniche dei
nuovi palazzi e dei templi rinnovati.
Precedenti, dunque, ma non ancora Rinascimento; e giova ripeterlo, sia a
chi fissandosi a quelli fraintende questo, sia a chi pretende fare del moto di
rinnovamento un mostro, mirabile solo per esser nato da genitori ignoti e
essersi spento senza procreare figli vitali, eccezion fatta per lo spirito
reazionario della Controriforma.
E veramente precorrono al fiorire del Rinascimento tutti quei moti che
tendono ad affermare il senso e il valore dello spirito umano, la sua dignità e
la sua libertà. Tutte le volte che, nel ricordo dei classici, lo spirito critico
accenna a rompere una barriera, ad affermare i diritti dello spirito, a esaltare
le sue creazioni, a celebrare la santità della vita, ivi è un brivido della
Rinascita. Rinascita che, appunto per essere stata il trionfo dell’umana
spiritualità, tende di continuo, come la civiltà greca, a trasfigurarsi da
particolare fatto storico a momento eterno, giustificando così, in qualche
modo, i vagheggiamenti delle molte Rinascite ricorrenti. Tanto più che essa,
di fronte all’ideale greco, cui pure tanto sembra avvicinarsi, si arricchiva di
tutta la pienezza dell’esperienza cristiana.
Ché il Rinascimento ebbe vivissimo il senso religioso, sì che si preclude la
via ad intenderlo chi voglia prescindere da quell’ispirazione che non solo lo
permeò, ma che talora lo trasformò in una profondissima fede. Il preteso
paganismo, di cui sì spesso e sì a torto si è discorso, o si limitò a qualche
sporadica manifestazione letteraria, o si ridusse a quella valorizzazione della
vita, a quell’esaltazione dell’attività umana di contro alle tendenze ascetiche,
che non è per niente piuttosto pagana che cristiana. Ché nel mondo antico
non mancò l’ascesi, e frequenti e violente sono le critiche umanistiche allo
stoicismo; né è in contrasto col cristianesimo, tutto ardente di fuoco di carità,
l’affermazione della santità della vita e del lavoro. E quegli stessi brividi
d’eresia, quella brama di una fede pura e interiorizzata, quella polemica
contro la corruzione chiesastica, lungi dallo scaturire da indifferenza
‘paganeggiante’, svelano un interesse religioso pieno d’ansia. Il che peraltro
non significa affatto spirito di reazione e di rigida ortodossia e anticipazione
degli atteggiamenti tridentini. Se è lecito, anzi necessario, parlare di religione
profonda e di cristianesimo, non è lecito intendere con ciò il cattolicismo
controriformatore, né valga appellarsi al costante innegabile amore per il
cristianesimo primitivo, per il pensiero dei primi secoli, per i Padri della
Chiesa; ciò non significava affatto una più rigida aderenza alla tradizione o
un ritorno puro e semplice al passato. Aveva, anzi, un valore polemico, che a
Tertulliano e ad Origene, e, magari, a san Girolamo e a sant’Agostino, non si
tornava certo in ossequio ad una stretta conformità ai dettami della Chiesa
ufficiale.
Rinnovamento, perciò, anche religioso, per una più intima e sentita
religione dello spirito, che assume il tono ispirato di una raggiunta pienezza
dei tempi. Il quale rigenerarsi, come quello che affermava un’umanità ricca e
pienamente svolta, trovò nel mondo classico quasi un modello ideale. Di qui
appunto quel rivolgersi quasi affannoso verso l’antico, che impronta gli inizi
del Rinascimento e permane poi per tutto il periodo. Ritorno, che, per essere
non poco appariscente, ha indotto alcuni a cogliervi l’essenza stessa
dell’epoca, che consisterebbe, appunto, in un risorgere dell’antico, elemento
determinante e dominante in ogni manifestazione. Nel che i critici sono
spesso stati tratti in errore dagli atteggiamenti medesimi, assunti non di rado
da figure di primo piano, che volutamente ricalcarono nelle stesse
consuetudini di vita i modelli greco-romani, come quando il Magnifico
Lorenzo pensava a Pisistrato e Ficino ingenuamente cercava di apparire un
redivivo Platone fin nelle debolezze e nelle caratteristiche della persona. Ma
ciò non vuol dire, evidentemente, che la signoria di Cosimo sia sorta per
l’imitazione di Pericle o che il pensiero di Ficino sia una mera imitazione di
Platone.
L’antico riscoperto, perché ad esso riconducevano affinità spirituali e
analogie di stati d’animo, rifluiva plasmando di sé l’epoca, ma in un rinascere,
in una rigenerazione che era nuova creazione. Gli imitatori pedestri, e vi
furono, rimasero rami secchi nella pianta rigogliosa.
Tuttavia, proprio per il particolare entusiasmo con cui si andò alla ricerca
dell’antico, l’aspetto più appariscente dell’epoca fu questo risorgere del
mondo classico e la sua efficace influenza nell’età nuova. E, certo, il
Rinascimento fu, innanzitutto, un grande movimento culturale che riplasmò
gli spiriti senza esaurirsi in un fatto letterario o grammaticale. Se, infatti, gli
umanisti ci parlano molto di libri, di biblioteche, di testi e di vocaboli, le
lettere umane sono esaltate, non per sé, ma perché formatrici nell’uomo della
sua umanità più degna. Né la filologia, che a un certo momento par quasi
assumere una posizione dominante, è indagine erudita e scolastica; essa è la
chiave che apre il mondo dello spirito, che attraverso l’esatta valutazione
dell’espressione farà conquistare il pensiero.
Le sottili questioni medioevali avevano scavato un abisso fra la parola e la
cosa; discussioni ed indagini si erano venute esasperando intorno a pure
finzioni verbali, a entità staccate dalla realtà originaria. Si trattava di
ricongiungere lo spirito e la lettera, in un logos concreto che fosse ancora,
come nel suo senso originario, pensiero e parola. Valla, appunto, il filologo
Valla, rinnova la dialettica, la critica storica ed affronta le questioni giuridiche
nelle loro sistemazioni tradizionali; la sua filologia si svolge «sulla base del
diritto e della teologia: che impegnano i valori fondamentali della vita degli
uomini, i rapporti fra uomo e uomo e i rapporti fra uomo e Dio»
1
. In questo
senso tutto l’inizio del Rinascimento è filologico, ché gli studi umanistici,
attraverso le lettere umane, vogliono riconquistare l’umanità, la spiritualità
umana di cui esse sono espressione. Ché se, come purtroppo avvenne, quella
riconquista tutta culturale, non solo produsse la piaga del ‘letterato’, ma
anche generò un’evasione alla vita mondana in una repubblica ideale ove la
libertà dello spirito era sì incontrastata, ma monca e sterile e, come è stato
detto, tutta fantastica; ché se l’Umanesimo fu ricco di caratteri miseri e di
volontà fiacche, è pur vero che quella riscoperta umanità fu proposta come
un ideale luminoso concretato in insuperabili opere d’arte, in conquiste
eterne di pensiero, destinate a educare e a conquistare in profondità il
mondo moderno.
Il Rinascimento, nato con Cola e Petrarca come movimento di riscossa
nazionale, lotta contro i ‘barbari’, culturale insieme e politica, raggiunse così
ben presto un significato universale, che venne svincolandolo dalle sue radici
italiane per farne una meta eterna alla civiltà europea, anzi mondiale, dopo
che la nuova visione del senso della vita e dell’uomo ebbe conquistato nuove
terre e nuove vie.
Contrasto doloroso fra ideale e reale, di cui furono vittime consapevoli
quegli arditissimi indagatori e costruttori di realtà imperiture, che videro mal
corrispondere alla loro ‘virtù’ le vicende di quella ‘fortuna’, che pur
asserivano non poter piegare mai l’uomo forte. Tornano alla memoria le
osservazioni del Castiglione che a fare perfetto il cortegiano accanto alle armi
poneva le lettere:
Ma chi non sente la dolcezza delle lettere, saper ancor non può quanta sia la grandezza della
gloria, così lungamente da esse conservata, e solamente quella misura con la età d’un uomo,
o di due, perché di più oltre non tien memoria; però questa breve tanto estimar non può,
quanto faria quella quasi perpetua, se per sua disgrazia non gli fosse vietato il conoscerla; e
non estimandola tanto, ragionevol cosa è ancor credere, che tanto non si metta a pericolo
per conseguirla, come chi la conosce. Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse
gli effetti contrari per rifiutar la mia opinione, allegandomi gli Italiani col lor saper lettere
aver mostrato poco valor nell’arme da un tempo in qua; il che purtroppo e più che vero
[…]. Però meglio è passar con silenzio quello che senza dolor ricordar non si può.
Aspro dramma, non diverso da quello dei politici che vagheggiando il
libero stato ben ordinato non sapevano poi rivelarne la concreta realizzabilità.
Ché, certo, fu opera del rinnovato pensiero quell’ultimo crollo dato ai sogni
imperiali e alle pretese pontificie, quella critica recata fino in fondo a vecchie
istituzioni e privilegi, quell’idea di una vera nobiltà nata non dal sangue, ma
dalla ‘virtù’, dall’operosa conquista dell’uomo che fa sé a se stesso. E fu
ancora suo merito quell’esaltazione dell’umanità come libertà, quella
rivendicata concretezza e mondanità necessaria alla vita terrena. Solo che,
nella pratica, nacque il ‘tiranno’, la cui ‘virtù’ non trovò un limite, ché quella
libertà non era ancor intesa come legge, né lo poteva, quando quel ‘principe’
per affermarsi, per creare uno Stato che fosse tale, per spezzare opposizioni e
contrasti, aveva sì spesso dovuto ricorrere all’arbitrio. E lo Stato nuovo fu sì
mondano e terreno, libero da impacci e legami morenti, spogliato di privilegi,
ma fu opera personale del ‘tiranno’ che non si sentì, nel governare,
espressione e strumento di una volontà universale, di una legge parlante con
la sua bocca, santa e venerabile e freno alla sua volontà singola come a quella
degli altri; ma volle essere, e fu, come l’artista che plasma a suo piacimento,
senza un freno oltre quello dell’arte sua. Nacquero, come diceva Machiavelli,
i Cesari e non gli Scipioni; gli «scellerati», ricchi di «grandissima fortuna e
virtù»; «le quali due cose pochi uomini accompagnano»
2
.
Arte, è stato detto, anche la politica; o, almeno, attività premorale, libero
giuoco di forze. In verità, la luce del Rinascimento è tutta in quel suo slancio
verso un mondo di cultura, verso un regno spirituale, in cui l’uomo non sia
lupo all’uomo, ma con lui collabori in verace creazione.
Se ci si libererà, finalmente, dall’esaltazione dei ‘superuomini’ liberi da ogni
freno, dalla figurazione dei pretesi ‘paganismi’, e si vedrà, quale fu, il
Rinascimento, come «ritrovamento della natura sempre nuova e viva,
dell’uomo intero che sa d’esser divino e non mera bestia», ci si avvierà a
comprendere la sua perenne conquista spirituale di unità armonica, di valori
spirituali e, insieme, si potranno spiegare certi lati, certe ombre di quell’età,
senza volere incentrar proprio in queste i caratteri di tutto il movimento
3
. Che
non fu né titanismo, né asprezza di lotte, ma sognò la pace umana, la
concorde discordia degli spiriti creanti, il regnum hominis ove il bene diviso è
maggiore dell’intero, «plus dimidium toto». Che, appunto perciò, fu
raggiungimento di un ideale umano che i pensatori, gli artisti, i poeti d’Italia
indicarono agli uomini e che gli uomini vanno ancora dolorosamente
cercando: l’essenza ideale dell’uomo riposta in una bellezza che è bontà, in
una conquista di Dio nella operosa pace dell’unità umana, in una conquista
di sé nell’amore e nella dedizione a quelle viventi immagini di Dio che sono
gli altri uomini. «Haec illa Pax quam facit Deus in excelsis suis, quam angeli
in terram descendentes annunciarunt hominibus bonae voluntatis, ut per
eam ipsi homines ascendentes in caelum angeli fierent. Hanc pacem amicis,
hanc nostro optemus saeculo, optemus unicuique domui quam ingredimur,
optemus animae nostrae»
4
.
1 D. Cantimori, Anabattismo e neoplatonismo nel secolo XVI in Italia, «Rendiconti della R.
Accademia dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. VI, XII (1936), p.
39 dell’estr.
2 N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 10.
3 Cfr. G. Papini, Pensieri sul Rinascimento, «La Rinascita», I (1938), p. 15.
4 Oratio de hominis dignitate, in G. Pico, Opera, Basileae 1572, f. 318; cfr. G. Manetti, Oratio
de pace, in F. M. Sandeo, De Regibus Siciliae, Hanoviae 1611, pp. 179 sgg. Colgo qui
l’occasione di ringraziare l’Ecc. G. Volpe, i cui suggerimenti mi furono spesso preziosi nella
compilazione di questa raccolta. Nella quale per altro non saranno difficili a cogliersi lacune
ed unilateralità, inevitabili in un tentativo di documentare un movimento spirituale così
vasto e così strettamente legato a motivi letterari ed artistici. Ma non si è avuta di mira una
qualunque compiutezza; si è voluto solamente offrire qualche riferimento, soprattutto per
quello che fu il germinare del Rinascimento.
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